Mistero: le diagnosi di depressione tra le persone over 65 negli ultimi vent’anni sono rimaste stabili, ma il consumo di antidepressivi in questa fascia di popolazione è più che raddoppiato.
La spiegazione può essere solamente una: gli psicofarmaci vengono prescritti per disturbi di tutt’altro genere, dall’insonnia al mal di testa, dalla difficoltà di concentrazione ai problemi di digestione.
Nel linguaggio farmaceutico questa “seconda vita” dei medicinali viene definita “off-label”, letteralmente “fuori etichetta”. Nel foglietto illustrativo sono presenti alcune indicazioni, ma i medici propongono il prodotto come valida terapia per una serie di patologie non contemplate nella lista ufficiale.
Il fenomeno degli antidepressivi off-label è stato al centro di uno studio della University of East Anglia e appena pubblicato sul British Journal of Psychiatry condotto sulla popolazione inglese tra il 1991 e il 2011.
I ricercatori hanno intervistato più di 15mila persone sopra i 65 anni di età per verificare se nel corso degli anni il numero delle diagnosi di depressione fosse aumentato tanto quanto il consumo di antidepressivi, come ci si sarebbe aspettato nello scenario “in-label”, con i farmaci usati per il loro scopo principale.
Dall’indagine è emerso che l’uso di antidepressivi è più che raddoppiato nel periodo dello studio, passando dal 4,2% al 10,7%. Eppure le diagnosi di depressione sono rimaste invariate, intorno al 7% della popolazione.
È evidente che oltre ai depressi ci sono altri destinatari di quei farmaci. Chi sono? Facciamo qualche esempio. Tra i principali farmaci utilizzati in maniera non ortodossa c’è l’amitriptilina, un antidepressivo triciclico che a basso dosaggio viene usato nella prevenzione di alcune forme di cefalea, come quella tensiva e a grappolo, o nel trattamento della cistite interstiziale o nella sindrome del dolore pelvico. C’è anche il tradozone, prescritto per curare l’insonnia, anche se non è stato approvato per questo scopo.
Secondo i dati di farmacovigilanza.eu gli antidepressivi sono tra i farmaci più prescritti off-label (33,4% dei casi). Nel caso dell’amitriptilina e del tradozone si registra una situazione paradossale per cui il loro impiego è quasi esclusivamente “fuori etichetta”.
Il fenomeno della vita parallela degli antidepressivi era già stato analizzato a fondo in un’indagine pubblicata sul British Medical Journal nel 2017. A preoccupare in modo particolare gli autori dell’articolo era la mancanza di prove certe sull’efficacia dell’utilizzo secondario dei farmaci. Solo il 16% delle prescrizioni off-label di antidepressivi trovano riscontro diretto nella letteratura scientifica. Il primo sospetto, quindi, è che questi farmaci impiegati in modo diverso da quello indicato nel foglietto illustrativo, siano poco utili. Ma c’è un rischio ancora maggiore.
Gli antidepressivi, anche quelli di nuova generazione, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri), possono avere una serie di effetti collaterali preoccupanti, dalla sonnolenza all’aumento di peso, alla stanchezza ecc… Tutti questi rischi, secondo gli esperti, aumentano del 54% quando i farmaci vengono usati off-label senza prove consistenti della loro efficacia.
L’aumento del consumo di antidepressivi riguarda anche il nostro Paese. I dati più recenti dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) registrano un aumento significativo nell’uso degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina negli ultimi anni: se nel 2013 le dosi giornaliere per 1.000 abitanti erano 39, nel 2018 siamo passati a 41,6 con un incremento del 6,2%. L’aumento del consumo di psicofarmaci in Italia riguarda soprattutto le persone anziane e, in particolare, le donne.
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