“Nai Nai e Wài Pó”, pellicola del regista 29enne Sean Wang, racconta di Yi e Chang, due donne di 96 e 86 anni, una narrazione che è valsa la chiamata all’Oscar.
Accendere i riflettori su uno spaccato di quotidianità, narrando vite ordinarie, ma farlo attraverso una telecamera che avvicina così tanto lo spettatore fino al punto di togliere ogni barriera. È la vicinanza che si crea a trasformare il racconto, facendolo diventare straordinario. Ed è una vicinanza che ci sembra di toccare con mano quella che percepiamo in Nai Nai e Wài Pó, film firmato dal giovane e talentuoso regista di origini taiwanesi Sean Wang. Ventinove anni appena compiuti, il suo nome è già in lizza per essere uno dei prossimi protagonisti agli Oscar. Nai Nai e Wài Pó, titolo in mandarino dell’opera che significa “nonna materna e nonna paterna”, è un film di 17 minuti.
Nonne sotto i riflettori
La pellicola di Sean Wang racconta la storia di due donne di 96 anni e 86 anni, Yi e Chang, che vivono a San Francisco. Sono le nonne del regista di cui lui narra la loro vita quotidiana con uno sguardo intimo e discreto. Vengono dal Taiwan, hanno vissuto la povertà e il caos della guerra ed ora, in California, assaporano una nuova fase della loro esistenza.
“Ho 83 anni, ma sento come se ne avessi venti”, afferma Chang. “Ho compiuto 94 anni, mi sembra come di averne 100, sono così anziana…”, ribatte invece Yi. Una convivenza iniziata in tarda età la loro, che è diventata però una “sorellanza” forte.
Wài Pó ha passato quasi tutta la sua vita nel suo Paese d’origine. Per anni si è presa cura, con dedizione, del marito paralizzato. Alla morte di lui ha deciso di salire su un aereo e di raggiungere il resto della sua famiglia, negli States. È in questo momento che ha iniziato a vivere sotto lo stesso tetto di Nai Nai, anche lei diventata vedova da poco.
L’incontro tra due donne che si ritrovano a riscrivere le proprie vite e lo fanno dandosi una mano, a vicenda, come nel più puro e sincero dei legami. Questo è quello che ha messo in risalto il loro nipote. Le vediamo mangiare insieme, dormire nello stesso letto, ridere e scherzare mentre giocano a braccio di ferro o simulano strambi travestimenti. In un documentario di meno di venti minuti le due nonne portano sullo schermo i valori importanti della vita, senza perdere mai il sorriso, anche quando si interrogano sulla fine della loro esistenza.
Forse non si aspettavano che la loro vita potesse far breccia, in un modo così dirompente, nel cuore di tante persone, al punto di ricevere la nomination all’Oscar. E la loro espressione, quasi imperturbabile, quando davanti allo schermo ricevono la grande news, mentre il resto della famiglia esulta a gran voce, rende i loro personaggi ancor più autentici.
Antidoto contro gli stereotipi
Dietro tutto ciò c’è lui, il nipote e regista, Sean Wang. Con questa opera ha voluto dare una risposta all’aumento degli episodi di razzismo nei confronti degli asiatici e degli asiatici-americani durante la pandemia. “Le mie nonne sono un antidoto perfetto contro gli stereotipi che si sono amplificati durante il lockdown”, ha dichiarato il regista.
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