Chi ha “qualche anno in più” ricorderà gli “orti di guerra”. Nati con uno scopo opposto e in un periodo storico molto diverso, si possono considerare gli antesignani degli attuali “orti urbani”. Qualcuno però fa risalire l’usanza ancora più indietro, alla fine dell’Ottocento, con i francesi jardins ouvriers, i famosi giardini operai.
Durante il Secondo Conflitto Mondiale al motto “Sfruttare ogni zolla”, i giardini pubblici e i parchi delle grandi città furono trasformati in aree coltivabili. Divennero così un modo per fornire alla popolazione grano, orzo, legumi, patate e «quegli ortaggi che – secondo l’Ufficio propaganda dell’epoca – nelle contingenze attuali possono dare un apporto considerevole di nutrimento in parziale sostituzione di quanto, per varie cause, più scarseggia per la popolazione civile: la carne».
Gli orti urbani: dalla riqualificazione al valore terapeutico ed ecologico
Oggi la diffusione degli orti urbani si lega più ad obiettivi di salute pubblica, di promozione di rapporti sociali, di riqualificazione del degrado urbano e ambientale. In tempi ancor più recenti sono stati “rispolverati” per contrastare la crisi economica e favorire l’autoproduzione nelle fasce deboli di popolazione (soprattutto anziani).
C’è un altro elemento che depone a loro favore: lo specifico interesse per l’ambiente, come emerge da uno studio del The Nature Conservancy, svolto in quasi 300 città di tutto il mondo. Un albero può ridurre il particolato nell’aria che lo circonda in una percentuale che va dal 7% al 24%. Gli effetti positivi sull’inquinamento trovano conferma in recenti studi dell’Istituto di Biometeorologia (Ibimet) del Cnr di Bologna.
Hanno molti altri vantaggi, scoperti anche da varie amministrazioni di medie e grandi città italiane. Coltivare orti urbani riqualifica interi quartieri, responsabilizza i cittadini, li rende orgogliosi e spesso fa aumentare il valore economico degli immobili. Inoltre, le Università di York e Edimburgo hanno dimostrato che hanno effetti benefici persino sul declino cognitivo degli anziani.
Il fenomeno ha assunto, negli anni, proporzioni sempre maggiori. L’Istat, in un report del 2016, quantificava in 1,7 milioni di metri quadri la superficie dedicata a orti urbani dai Comuni italiani. Ma potrebbe trattarsi di un calcolo sottodimensionato. Escludeva infatti tutti gli appezzamenti messi a disposizione dai privati, aziende o associazioni e, infine, gli orti di privati cittadini.
L’impatto delle restrizioni da Coronavirus sugli orti
Non tutti hanno il pezzetto di terra sotto casa e, specialmente nelle grandi città, qualcuno deve percorrere qualche chilometro per raggiungerlo. Da quando sono scattate le misure per contenere il Coronavirus si rischiano multe consistenti, ma la stagione calda si sta avvicinando e gli orti urbani rischiano l’estinzione.
Come tutte le attività agricole, hanno bisogno di manodopera e di irrigazione, solo che gli assegnatari degli orti spesso non abitano sul posto. Il problema è stato sottolineato anche da Stefania Favorito, che lavora per mettere in rete la cospicua realtà degli orti urbani romani e spiega così la sua realtà: «In molti quartieri difficili, l’orto ha una funzione sociale di enorme importanza. Per alcune famiglie significa risparmiare 100 o più euro al mese. E sarebbe ancora più importante in questa fase, in cui si stanno perdendo migliaia di posti di lavoro a causa del Covid-19».
Da diverse settimane, spiega sempre Stefania Favorito, si cerca di far riaprire i cancelli, con tutte le precauzioni possibili. Sembra che presto, almeno gli orti su terreni comunali, potranno ricominciare a funzionare. Per gli orti privati, al momento, ciò non appare possibile.
Le esperienze di Milano e Torino
Appaiono significative anche le esperienze di Milano e Torino. Nel capoluogo lombardo, Claudio Cristofani, amministratore di Angoli di Terra, storica associazione cittadina cui fanno riferimento 180 assegnatari di orti, ha delineato un problema sociale meno sentito che nella Capitale: «I nostri, più che “orti di guerra” sono “orti ludici” e perdere un raccolto, per gli ortisti, non è poi la fine del mondo: potranno comunque fare la spesa al supermercato senza troppi problemi».
A Torino Matteo Baldo, co-fondatore di Orti Generali (160 appezzamenti tra i 50 e i 100 mq), spiega che si è scelta la “tele-coltivazione”. Se gli assegnatari non possono andare a coltivare i propri orti ci pensa il personale dell’associazione. Una soluzione pensata per ovviare alle restrizioni: i soci da casa decidono cosa mettere in campo e il personale lo fa per loro. Ma se le limitazioni dovessero continuare ancora per diverse settimane, Orti Generali ha sottolineato che la questione dovrà essere affrontata dal Comune.
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