L’Italia prova a fare “gol” ma sulle politiche attive del lavoro e le misure destinate a facilitare la ricerca di un’occupazione, la partita è ancora tutta da giocare.
In un recente rapporto sui Centri per l’Impiego, la Corte dei Conti ha stimato che più di 1 milione e 300mila beneficiari di reddito di cittadinanza a ottobre 2020 possedeva i requisiti per sottoscrivere il Patto per il lavoro e, dunque, avviare il percorso personalizzato di reinserimento professionale previsto dalla misura. Passando così dalla prima fase “passiva” di lotta alla povertà alla seconda “attiva” di ricerca di un’occupazione.
Solo poco più di 350mila – circa 1 su 4 – hanno iniziato un nuovo lavoro e circa 190mila – 1 su 10 – risultavano ancora occupati al momento della rilevazione. Alle critiche piovute sulla misura fin dai suoi esordi, oggi si risponde con “GOL”, il nuovo Piano Nazionale “Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori”. Cosa prevede? Cinque percorsi personalizzati per trovare lavoro: un rapido reinserimento per chi è più facilmente occupabile; un percorso di aggiornamento (upskilling) per chi ha bisogno di rinfrescare le proprie competenze; aggiornamento che diventa intensivo nella terza strada, quella del reskilling, per coloro che hanno bisogno di una complessiva riqualificazione del proprio profilo; un percorso di lavoro e inclusione con il coinvolgimento di servizi sociali e territoriali per categorie particolarmente vulnerabili; infine, una ricollocazione collettiva per i lavoratori espulsi dal mercato del lavoro per crisi aziendale. «Dopo vent’anni di esperienze negative, se non addirittura fallimentari – sottolinea il professor Giampiero Proia, ordinario di Diritto del Lavoro dell’Università Roma Tre – almeno nella sua dimensione programmatica questo piano ha diversi pregi. In particolare, punta a personalizzare i percorsi diretti a promuovere l’occupazione, tenendo conto delle caratteristiche delle singole platee di soggetti che ne hanno bisogno, e questo è un aspetto fondamentale, perché ogni platea ha le sue esigenze». Destinatari del progetto, i beneficiari di cassa integrazione, indennità di disoccupazione come NASpI e Dis-Coll, reddito di cittadinanza, e categorie considerate particolarmente fragili come gli over 55, i giovani Neet lontani dallo studio e dal lavoro, le donne in condizioni di svantaggio, le persone con disabilità, i disoccupati da lungo tempo, i working poor, ovvero i lavoratori che, percependo retribuzioni basse, sono comunque a rischio povertà. Lo scorso 21 ottobre, è arrivato l’ok della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome all’intesa sul riparto dei primi 880 milioni di euro che finanzieranno GOL. Saranno infatti le Regioni a dover redigere i piani di attuazione del programma a livello territoriale. Le premesse di GOL sono molto ambiziose: 3 milioni di occupati entro il 2025, di cui almeno il 75% dovranno essere over 55, donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, under 30; 4,4 miliardi di euro assegnati nella Missione 5 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ai quali si sommano 600 milioni per il rafforzamento dei Centri per l’Impiego e 600 milioni per il rafforzamento del cosiddetto “sistema duale”, ovvero l’alternanza fra formazione e lavoro. Saranno soldi ben spesi? «Sicuramente il PNRR ci ha offerto un’occasione per colmare un vuoto per cui la stessa Commissione europea ci aveva bacchettato con raccomandazioni specifiche per il nostro Paese – osserva la professoressa Lucia Valente, ordinario di Diritto del Lavoro della Sapienza Università di Roma -. Era necessario intervenire perché l’arretratezza cronica dei servizi per il lavoro nel nostro Paese è un fatto ormai sotto gli occhi di tutti». Per colmare il gap, dunque «abbiamo preso la misura già varata con la Legge di Bilancio 2021 ma ancora inattuata – ci spiega – e l’abbiamo inserita nel PNRR. E questa è stata una fortuna, perché ci siamo legati mani e piedi ai tempi del PNRR. Quindi, finalmente abbiamo degli obblighi da rispettare sulle politiche attive». Filerà tutto liscio? Secondo Valente, «la riuscita della riforma è già compromessa dal fatto che GOL rinvia l’attuazione di tutte le misure a piani regionali, nonostante parta come piano “nazionale”. Il problema è che costituzionalmente questo “rimpallo” di competenze è corretto, perché alle Regioni sono assegnati i servizi per il lavoro, ma hanno abbondantemente dimostrato di non essere in grado di erogarli. Quindi mi sarei aspettata che la parola “nazionale” nel GOL avesse un significato concreto: le Regioni fanno un passo indietro e avanza lo Stato, facendo esattamente la stessa cosa che è stata fatta con il piano vaccinale per la sanità. Nella sanità c’è Figliuolo, anche per i servizi per il lavoro abbiamo bisogno di “un Figliuolo”. GOL non va in questa direzione».
Un altro errore che si ripete nuovamente riguarda il ruolo dei Centri Pubblici per l’Impiego (CPI): «Nel piano GOL – ci spiega la professoressa Valente – i CPI saranno la porta di accesso per tutti gli attuali percettori di sussidi. Questo significa ingolfare i Centri, che già sono pochi: solo 550 su tutto il territorio nazionale». E su questo terreno si incappa in «un altro problema storico delle politiche attive in Italia, che è quello dell’attuazione», sottolinea il professor Proia. Però, «l’investimento programmato sui Centri per l’Impiego potrebbe garantire una maggior efficienza – aggiunge -, anche se il successo del piano non deriva dall’investimento in sé quanto piuttosto dalla capacità delle persone addette ai servizi per l’impiego di fare bene il proprio lavoro». Ma nelle intenzioni del Governo c’è la volontà di intensificare la collaborazione con i servizi privati per il lavoro. Un’ipotesi che le agenzie per il lavoro accolgono con favore: «Partendo dal presupposto che le persone devono poter scegliere a quale operatore affidarsi, il privato interviene a supporto del pubblico, mettendo a disposizione la sua rete. Basti pensare che l’insieme delle agenzie per il lavoro ha circa 2.000 sportelli attivi in tutte le regioni», evidenzia Maurizio Mirri, direttore Politiche Attive dell’agenzia per il lavoro Gi Group. Un supporto che consiste in “un’attività di presa in carico e di valutazione dell’occupabilità delle persone, ma anche di intervento sulle soft skills per rendere la persona occupabile e, come ci auspichiamo il piano GOL possa cogliere, di stretta connessione con le attività formative». “L’aspetto positivo di GOL – precisa Mirri – è proprio un approccio “olistico” alla persona. Per la prima volta si supera la distinzione fra le competenze dei servizi al lavoro (presa in carico, accompagnamento e ricerca di lavoro) e quelle dei servizi formativi. Purtroppo molte Regioni tengono ancora oggi le due attività separate e assegnate a distinti assessorati. Invece, i servizi per il lavoro e la formazione devono essere modulati sulle esigenze della singola persona e integrati fra loro». La personalizzazione dell’assistenza per la ricollocazione si potrebbe ottenere incentivando l’adozione di un altro strumento: l’outplacement. Si tratta di un servizio intensivo di supporto alla persona per il rientro nel mercato del lavoro pagato dall’azienda che licenzia, ci spiega Cetti Galante, amministratore delegato di Intoo, società di Gi Group specializzata nei servizi di outplacement. Dunque, non pesa sul pubblico e consente anzi di risparmiare risorse che possono essere dedicate ai disoccupati di lungo periodo, generalmente più difficili da reinserire. «Ascoltiamo e aiutiamo le persone che ci vengono affidate – età media di 45 anni, 52 per i manager – ad attivarsi subito nella ricerca, e con questo tipo di assistenza in sei mesi circa ritrovano lavoro, come dipendenti o non, a seconda anche dei bisogni individuali. Almeno il 25% delle persone over 55 che perde il lavoro – sottolinea Galante – non desidera rientrare in azienda ma chiede espressamente di essere supportato nell’avviare un’attività in proprio: aprire una Partita IVA, una micro impresa con un figlio, avviare una start up. Questo ancor di più dopo la pandemia, che ha portato tanti a una profonda riflessione sul proprio equilibrio vita-lavoro, che lasci più spazio anche alla famiglia o agli hobby. Persone che potranno lavorare stabilmente e con una buona retribuzione anche oltre la consueta età pensionabile, se lo desiderano. Dunque, l’outplacement può agire anche come un motore sociale di proattività e invecchiamento attivo e potrebbe rappresentare quindi un potenziamento del sistema pubblico-privato per questo target».
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