Monica Cerutti, ambassador di associazioni a difesa dei diritti delle donne, su sfide e ritardi: «Manca la trasformazione culturale che auspichiamo»
Qualche passo avanti, tanti passi indietro. Così procede l’Italia verso l’obiettivo della piena parità di genere. Nell’ultimo report del World Economic Forum, il Global Gender Gap Index 2024, l’Italia è 87ª su 146 nazioni, perdendo otto posizioni nella graduatoria mondiale rispetto all’anno precedente. Un divario che coinvolge trasversalmente tutti gli ambiti sociali, dal cosiddetto empowerment femminile all’eliminazione della violenza di genere, dal lavoro all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Una sfida in cui crede, ed è impegnata da tempo, Monica Cerutti, ricercatrice al Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino, cofondatrice del comitato UN Women Italia e attivista per i diritti in associazioni come Donne 4.0 e Women in AI.
Monica Cerutti, intanto, sottolinea: «Il nostro tallone d’Achille è il tema occupazione e lavoro. Si stanno facendo dei passi in avanti, ma su questo tema abbiamo perso posizioni anche nelle graduatorie mondiali. Dobbiamo essere molto vigili».
Mi sembra di capire che siamo rimasti per lo più fermi in tema di parità. Cosa ha fermato la crescita e il cambiamento?
Uno dei temi centrali è la maternità. Nel nostro paese il congedo per i papà è ancora un congedo di pochi giorni. Ci sono sostegni finanziari, come i bonus, che non introducono però trasformazioni strutturali. Serve sia un contributo economico che uno di tipo culturale, perché ancora tante donne si licenziano, nei primi anni di vita dei figli, in mancanza di una rete di supporto economica o familiare. Con Donne 4.0 abbiamo lavorato a un osservatorio sull’impatto del Pnrr. Il rischio è che spesso queste misure, come in tema di asili nido, riescono ad essere portate avanti in quei territori dove già ci sono opportunità, aumentando i divari invece di colmarli.
Ci sono contesti in cui le donne faticano ancora a trovare il loro posto, come lo studio di materie scientifiche e nel campo dell’intelligenza artificiale. Questioni fondamentali, a tutela anche delle nuove generazioni.
L’ambito digitale, dell’intelligenza artificiale continua ad essere ancora maschile, ahimè! La presenza di donne e studentesse universitarie nei settori Stem è del 15%. Nel tempo, le offerte di lavoro saranno sempre più in questi settori, e se le donne sono meno presenti l’indice occupazionale diminuirà. Per contro, nell’IA saranno sempre più necessarie competenze umanistiche, come psicologia, linguistica, settori che vedono una maggiore presenza femminile. Rischiamo però di rappresentare un mondo dell’intelligenza artificiale, in algoritmi e scelte, che vede solo il maschile, e questo è un aspetto su cui sensibilizzare e costruire consapevolezza.
Qual è il ruolo delle leggi a supporto della parità di genere?
Le normative possono essere importanti. L’Italia, ad esempio, ha la legge Golfo-Mosca, una punta di eccellenza rispetto alla presenza delle donne nei CDA quotate o partecipate. L’Europa sta lavorando sull’IA, e sta costruendo delle norme per garantire un mondo dell’intelligenza artificiale che tenga conto delle differenze di genere.
E gli uomini, l’altra parte della società, che ruolo hanno? Si fa qualcosa per coinvolgerli?
Bisognerebbe costruire un attivismo maschile, che poi gioca a favore di tutti e tutte. Come UN Women, stiamo anche lavorando ad un progetto che si chiama “HeForShe”, in cui ci siano uomini che facciano da testimonial a sostegno della parità, partecipando a campagne comunicative in cui fanno sentire che loro sono dalla parte della parità di genere. È importante che gli uomini sentano la responsabilità di questo fenomeno, e diano il loro supporto. Questo può fare riflettere di più tutti e tutte, anche sull’altro tema, quello del contrasto alla violenza sulle donne, la cui eliminazione è alla base di una cultura fondata sulla parità di genere.
Rifacendoci all’Agenda 2030, all’obiettivo 5 sull’uguaglianza di genere, qual è in questo momento, secondo lei, il tema principale su cui serve impegnarsi con più urgenza?
Credo che uno dei principali sia l’autonomia economica. Nella violenza c’è la violenza economica, l’autonomia economica poi può portare anche una maggiore autostima, ed è l’aspetto che incide sulla rappresentazione femminile. Quest’anno, l’8 marzo, si farà anche un bilancio sulla Conferenza mondiale di Pechino, che compie 30 anni. Una delle parole portate a Pechino era stata empowerment, insieme a mainstreaming, due aspetti importanti per raggiungere la parità di genere.
Donne 4.0 ha realizzato un manifesto con delle raccomandazioni rivolte a donne, uomini, aziende ed enti governativi. Quale raccomandazione farebbe lei per incoraggiare ognuno alla parità?
L’alleanza tra uomini e donne potrebbe essere la chiave vincente per costruire un futuro migliore, in cui tutte e tutti possano essere valorizzati. Un empowerment generale per le donne che possa essere un empowerment per tutti, anche maschile. Questo potrebbe essere un messaggio da affidare anche alle nuove generazioni, per leggere il futuro in termini meno foschi.
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