The Lancet Neurology ha recentemente pubblicato le nuove Linee guida per la diagnosi dei disturbi cognitivi, tra cui l’Alzheimer. Cristina Geroldi, geriatra dell’Irccs Fatebenefratelli, spiega cosa significherà questo per i medici.
Per la diagnosi e la cura dei disturbi cognitivi, ci sono le nuove linee guida. Pubblicate nei giorni scorsi da The Lancet Neurology, sono state messe a punto da un gruppo di lavoro multidisciplinare composto da 22 esperti di 11 società scientifiche europee. Il gruppo di lavoro è stato coordinato da un’équipe degli Ospedali Universitari di Ginevra (HUG), dell’Università di Ginevra (UNIGE) e del Centro Nazionale di Ricerca sulla Malattia di Alzheimer Fatebenefratelli di Brescia (IRCCS).
Le linee guida per l’Alzheimer
Queste linee guida rappresentano un passo fondamentale verso una diagnosi più precisa e personalizzata della malattia di Alzheimer, che non solo migliorerà la qualità delle cure, ma permetterà anche una gestione più efficiente delle risorse sanitarie. Consentiranno di individuare i primi segni di deterioramento cognitivo, che possono essere causati dalla malattia di Alzheimer o da un’altra forma di demenza.
Non solo: queste raccomandazioni permetteranno di razionalizzare e uniformare, a livello nazionale ed europeo, i percorsi diagnostici. “Una omogeneizzazione delle procedure a livello europeo è importante, perché consentirà di avere una maggior confrontabilità nelle diagnosi cliniche di diversi Paesi”, spiega Cristina Geroldi, geriatra dell’Irccs Fatebenefratelli.
“Il paziente con un deficit cognitivo iniziale ha circa il 50% di probabilità di avere l’Alzheimer oppure un’altra delle varie patologie che causano disturbi neurocognitivi”, spiega Flavio Nobili, co-coordinatore dello studio e professore di Neurologia all’Università di Genova. Oggi esistono linee guida dedicate alle diverse patologie neurocognitive e una grande gamma di esami. “Ma quando il neurologo ha di fronte per la prima volta il paziente non sa ancora di che patologia soffra”, precisa Nobili.
Meno esami inutili
Il nuovo documento, partendo dalle modalità con cui si presentano i sintomi, costruisce percorsi diagnostici differenti a seconda del profilo del singolo paziente, consentendo di arrivare a individuare la patologia responsabile in tempi più rapidi e con minori sprechi di risorse. Ciò, secondo gli esperti, porterà a ridurre del 70% gli esami strumentali inutili. Le raccomandazioni “potranno essere a breve aggiornate per l’utilizzo dei marcatori di Alzheimer nel sangue – aggiunge il coordinatore dello studio Giovanni Frisoni, direttore del Centro della memoria agli Ospedali Universitari di Ginevra -. Tutto ciò permetterà di intercettare i pazienti con malattia di Alzheimer nel momento più adatto e, in un futuro non troppo lontano, di indirizzarli alla terapia con gli anticorpi monoclonali che speriamo arriveranno presto in Europa e che, se somministrati nei pazienti giusti in una fase iniziale della malattia, potranno ritardare la perdita della memoria”.
Cosa cambierà per i medici
Ma cosa cambierà per i medici, chiamati a diagnosticare questi disturbi? “Ipotizziamo che si presenti una persona affetta da afasia – spiega Cristina Gerlodi -. Si parte, come in passato, con una raccolta anamnestica accurata, un esame obiettivo neurologico, un esame di neuroimaging strutturale (Risonanza Magnetica se possibile, oppure TAC), e dei test neuropsicologici, per capire innanzitutto se il paziente abbia problemi vascolari e che tipo di afasia presenti. Poi però non si procederà random: in assenza di eventi vascolari che possano giustificare l’afasia, se l’ipotesi diagnostica principale sarà quella di una forma frontotemporale, procederemo a una FDG-PET, mentre per escludere in prima battuta una variante logopenica della malattia di Alzheimer valuteremo prima i biomarcatori liquorali. Solo in caso di mancata conferma dell’ipotesi diagnostica principale, si procederà, quindi, all’esecuzione di ulteriori accertamenti. Ciò permetterà di avere una diagnosi in tempi più rapidi e, sulla base degli studi che hanno condotto a queste linee guida, anche più accurata e precoce”.
Tempi più rapidi e minore spreco di risorse per la diagnosi
Per la prima volta, dunque, le raccomandazioni non sono centrate sulla malattia, ma sul paziente e i suoi sintomi. A partire da 11 diverse modalità con cui si presenta un deterioramento cognitivo, in quattro passi successivi e con test differenti a seconda del profilo del singolo paziente, si potrà individuare la patologia responsabile in tempi più rapidi e con minori sprechi di risorse. Si utilizzeranno oltre ad analisi del sangue, test cognitivi, risonanza magnetica o TAC e in alcuni casi elettroencefalogramma, ma anche l’analisi di specifici marcatori nel liquido cerebrospinale, PET o SPECT di differenti tipologie, scintigrafie.
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