Il banco del mutuo soccorso offre supporto alle famiglie che vivono in condizioni di povertà. Lo fa dal cuore della periferia romana, attraverso la distribuzione alimentare e di prodotti di prima necessità
I carrelli si dispongono in fila già molto prima che i volontari inizino con la distribuzione alimentare. A trascinarli, a fatica, uomini – ma soprattutto donne – che si fanno strada sul brecciolino tutto intorno all’ingresso di Nonna Roma, il banco del mutuo soccorso sulla Togliatti. Siamo nella Capitale, in una zona popolosa di periferia, su un’arteria – la Togliatti, appunto – su cui si affacciano quartieri come il Quarticciolo e Centocelle: entrambi ad alta densità abitativa; tutti e due di estrazione economica estremamente fragile.
È lì che, nel tempo, osserviamo a lavoro il gruppo di persone che offre aiuto a chi di certezze non ne ha, a chi ricorre al sostegno dell’associazionismo per portare un pasto a tavola o un capo di abbigliamento – di seconda mano, ma comunque buono – in un armadio spesso ridotto all’osso. E non si tratta semplicemente di abiti per adulti – giacche, pantaloni, gonne, tute, cappotti – ma anche tutine per neonati, abitini da bambina, scarpe di numeri che talvolta non arrivano nemmeno al trenta e persino babbucce di lana, come quelle fatte un tempo dalle nonne. Le stesse vengono realizzate a mano sempre da donne in là con gli anni che, invece di pensare solo ai loro nipoti, si danno da fare per assicurare tepore a bambini che magari questa amorevole cura non l’hanno mai avuta o non l’avranno.
In fila, quando arriviamo – dicevamo – sono soprattutto donne, coi carrelli di stoffa un po’ malconci e un qualche disagio nel vederci lì con addosso microfoni e telecamere. È per questo che ci muoviamo con circospezione, consapevoli che a nessuno faccia piacere essere mostrato nel momento del bisogno. Eppure, avvicinandoci, in tanti sono pronti ad aprirsi, a patto di non essere ritratti. Tutti raccontano dell’umiliazione di ciondolare tra la parrocchia e questi volontari ma anche della gratitudine nel riempire il frigo, una volta a casa. La distribuzione, in una giornata ancora fredda di primavera, avviene all’aperto e, all’interno, discesa la scala che porta al magazzino, è un’infilata di barattoli di ogni genere: c’è il latte, le conserve, il tonno, la pasta, l’olio e la frutta: tutti beni messi a disposizione di Nonna Roma che a sua volta li dà a chi ne ha oggettivo bisogno.
Ci stupisce che, tra le donne in fila, ci sia anche chi dagli abiti non tradisce effettiva necessità: chi veste con capi, mai eccessivi, ma scelti con cura. Sono tutte donne anziane che ci raccontano di essere precipitate nella povertà una volta in pensione, o a ridosso di una pensione destinata a non arrivare visto che nella vita si è lavorato perlopiù in nero e non si sono versati sufficienti contributi. Sono loro che, senza esitazione, raccontano che tra affitti, rincari della spesa e quelli energetici, faticano ad arrivare alla fine del mese e, proprio ora che speravano – con l’età – di tirare un sospiro di sollievo, si trovano alle prese con la conta delle monete che, a un certo punto, non bastano.
Perciò, sebbene prima d’ora non lo si sia mai fatto, ci si mette in fila in attesa che un volontario dia quanto necessario da portare a casa per la settimana sbirciando, con un po’ di imbarazzo, tra i capi di abbigliamento che a qualcuno magari non servivano più ma che, per qualcun altro, sono ancora assai validi. Stefania, una di loro, con su un paltò e un abito di lana colorata, è la prima a farsi avanti e ci dice come a sessant’anni si senta ormai tagliata fuori dal mondo del lavoro e troppo distante dalla pensione sociale che, prima o poi, arriverà. Ha fatto la cameriera, la barista ma pure e soprattutto la pasticcera, solo che il laboratorio in cui ha lavorato ha chiuso e non si è più riuscita a ricollocare. Con lei, Ida – che di anni ne ha cinquantotto – e una storia assai complessa alle spalle. Parla cinque lingue e faceva la mediatrice culturale finché non ha perso il posto. Ma questa è stata forse solo la minore delle perdite visto che, negli anni, ha dovuto fare i conti – in momenti diversi – con la scomparsa di entrambi i figli: uno perché allergico a un farmaco – “e non è più uscito dall’ospedale” – e l’altro per via di un grave incidente stradale. È lì che il mondo per Ida ha iniziato a vacillare: è precipitata in una profonda depressione – più volte ha pensato di farla finita – e ha poi perso il posto. Oggi viene ogni settimana per il pacco alimentare ma, ancora, la speranza di un lavoro ce l’ha. Tra coloro che incontriamo è forse colei che percepiamo più “di casa”: lì, con noi, si accosta una tuta addosso e ci chiede come le stia. La porterà con sé ma nient’altro in più: «Ho già il necessario, questi altri capi possono servire a qualcun altro». Lei, qui da Nonna Roma, infatti, non viene solo per le dispense ma, nel tempo, è diventata volontaria: è un bel tratto d’unione, il segnale che nessuno si salva da solo e che, se si è ricevuto aiuto, si ha poi forse maggiore voglia di dare.
Come fa una nonna, ecco. E non è un caso che questo luogo di aiuto e accoglienza si chiami proprio Nonna Roma perché – come ci spiegano i volontari – «chi più di una nonna è pronta a stendere sul tavolo una tovaglia, anche senza preavviso? Chi non si fa problemi ad accoglierti in casa ogni volta che ne senti il bisogno?». Una nonna, appunto. Come qua, da Nonna Roma.
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