Il progetto per i Borghi prevede un rinnovamento culturale di piccoli centri e un rilancio turistico, ma va colta l’opportunità anche per una rigenerazione urbana, economica e sociale.
Negli ultimi anni i borghi italiani hanno sentito l’esigenza di fare rete per contrastare lo spopolamento e creare occasioni di rilancio urbano, turistico, occupazionale e culturale. Con questo scopo, nel 2001 è nata l’Associazione I Borghi più belli d’Italia, su impulso dell’Anci, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. «L’obiettivo di allora era di dare voce ai piccoli comuni, perché vent’anni fa il turismo era proiettato sulle grandi città d’arte – racconta Fiorello Primi, presidente dell’Associazione -; così, io e altri sindaci abbiamo pensato che fosse giunto il momento di crearci il nostro spazio. I Borghi più belli d’Italia prende spunto da “Les plus beaux villages de France”, associazione nata in Francia nei primi anni Ottanta per la valorizzazione dei piccoli comuni rurali con un ricco patrimonio storico, artistico o naturalistico. All’inizio non pensavamo che potesse avere questo sviluppo, e invece a oggi abbiamo ricevuto quasi 900 domande e valutato più di 800 borghi. Quelli accettati sono stati finora 315, fra i quali una trentina di siti Unesco che sono ammessi di diritto.
Quali sono gli altri criteri di valutazione?
Abbiamo una carta di qualità che negli anni ha già subito due rivalutazioni, nel senso che abbiamo stretto le maglie, e oggi abbiamo prodotto una scheda di valutazione con cui si verificano 72 parametri divisi in quattro sezioni: la bellezza estetica del borgo e il contesto in cui è inserito, i servizi per i residenti come ambulatori, banche, scuole, e tutto ciò che può essere utile, i servizi per i turisti, la qualità e la cura per la tutela del paesaggio e dell’ambiente. La nostra procedura di selezione è stata anche sottoposta alla valutazione per la certificazione Iso 9001. Siamo molto severi nel dare le prescrizioni e poi controllare ciò che effettivamente viene realizzato.
Quali risultati sono stati raggiunti in questi vent’anni?
Uno dei risultati più importanti è di aver risvegliato l’orgoglio degli abitanti, perché risiedere in uno dei borghi più belli d’Italia porta ad una maggiore sensibilità. I comuni fanno moltissimi investimenti per migliorare l’arredo urbano, la segnaletica stradale, i servizi, la raccolta dei rifiuti, c’è un continuo sviluppo per la qualità della vita dei residenti e dei turisti. E anche chi ci vive fa la sua parte.
Oggi si parla dei borghi come opportunità di vita alternativa alle aree urbane, complice anche il periodo di restrizioni che abbiamo vissuto a causa della pandemia; cosa serve ai piccoli centri per fare in modo che chi li sceglie oggi non debba pentirsene un domani?
Abbiamo visto che il modello di rilancio che punta solo al turismo non funziona se non si offre ai residenti la possibilità di restare. Questa è una battaglia che noi conduciamo da anni, anche se con scarso successo per quanto riguarda l’ascolto dei governi nazionali: abbiamo costituito un Comitato borghi con Legambiente, Touring Club, Unione Nazionale delle Pro Loco e Anci, e stilato insieme una sorta di vademecum di quello che dovrebbe essere fatto per la rigenerazione urbana dei piccoli centri. Ora speriamo che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in cui hanno inserito un piano nazionale borghi faccia la differenza; la nostra preoccupazione è che sia orientato quasi esclusivamente su cultura e turismo, che vanno bene di per sé ma non risolvono le criticità strutturali dei borghi, come l’accessibilità, la connessione veloce, i servizi di base per i residenti, il ripopolamento. È facile parlare di smart working e di flessibilità come abbiamo fatto durante la pandemia, ma se mancano i servizi essenziali nessuno deciderà di trasferirsi in un luogo per essere tagliato fuori da tutto. È evidente che se in un borgo si vive meglio che in una grande città, è anche perché i ritmi sono diversi e magari anche l’accesso ai servizi può essere più semplice, ma questi ci devono essere. Se la scuola più vicina è a trenta chilometri, non c’è un ufficio postale, una banca, il borgo resta un luogo isolato dal mondo solo per pochi coraggiosi decisi a intraprendere un percorso di questo tipo, ma non attirerà le famiglie con figli. Il Piano Nazionale deve dunque prevedere la rigenerazione urbana complessiva di questi luoghi.
Si può immaginare un filo conduttore fra le grandi realtà urbane e i piccoli centri?
È assolutamente necessario ricucire lo strappo che si è creato negli anni tra la città, le periferie urbane, il territorio e i borghi, che non dialogano fra loro. Il progetto dovrebbe essere quello di rendere l’Italia un paese omogeneo, in cui ciascuno può scegliere dove stare senza perdere opportunità. Fare rete a questo punto è indispensabile se si vuole recuperare una qualità della vita in città, e dall’altra parte evitare lo spopolamento dei borghi che causa una perdita di umanità, arte e tradizioni che non si recuperano più. Certo, fare degli interventi in città è paradossalmente più semplice: se prendiamo, ad esempio, un quartiere di Roma dove abitano 200mila persone, con la messa a regime di uno o più servizi si soddisferebbero le esigenze di molti residenti contemporaneamente. I borghi, invece, sono dispersi sul territorio, meno raggiungibili, necessitano comunque di grandi interventi che alla fine soddisfano poche centinaia di persone. Ma non per questo bisogna abbandonarli.
Quali sono i rischi dell’abbandono delle aree interne?
Pensiamo alle aree montane, dove abbandono vuol dire dissesto idrogeologico: in Italia abbiamo una catena montuosa che parte dal Friuli e arriva in Sicilia e, oltre al dissesto, c’è anche la questione sismica. Sono temi che andrebbero affrontati in maniera organica e programmata da qui ai prossimi vent’anni, ma non con un miliardo come previsto ora dal Piano Nazionale, piuttosto da decine di miliardi; un investimento massiccio che però, oltre a mettere in sicurezza il patrimonio, potrebbe creare centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ciò che speriamo per la programmazione degli interventi è di essere chiamati per ragionare insieme sulle priorità, insieme a professionisti ed esperti che suggeriscano come risolvere le criticità che da anni segnaliamo.
Quali iniziative avete in programma per i prossimi mesi?
Il 26 giugno scorso abbiamo realizzato la “Notte romantica dei Borghi più belli d’Italia”, un evento che quest’anno è giunto alla sesta edizione, che ha avuto come tema centrale l’amore per l’arte, declinato dai vari comuni in diverse iniziative. Il prossimo 10 agosto ci sarà “Il Borgo dei desideri”, legato alla notte di San Lorenzo delle stelle cadenti, con eventi in tutta Italia, e infine, nella seconda settimana di settembre, si terrà il Festival nazionale dei borghi sul Lago di Garda. Questi sono gli appuntamenti in comune fra tutti i borghi, ma ogni singola realtà ne organizza tanti altri che si possono consultare sul sito dell’Associazione (https://borghipiubelliditalia.it/eventi-borghi).
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