La superstizione è fatta di riti e credenze comuni a tutti. Ma quando si tratta di allontanare la sfortuna, i giovani sembrano più scaramantici.
Passare sotto una scala, vedere un gatto nero che attraversa la strada e rompere uno specchio sono presagi di sfortuna. O forse, per i meno scaramantici, sono solo piccoli dettagli.
In Italia, però, quelli che credono nella superstizione rappresentano il 58% della popolazione. Lo rileva un sondaggio di LeoVegas, la società svedese di giochi online, che lo scorso anno ha voluto indagare l’idea di “sfortuna” di alcuni Paesi europei. Sul podio, al primo posto, si trova la Lettonia, con il 60% della popolazione che si dichiara scaramantica. Si aggiudica il secondo gradino la Repubblica Ceca, con il 59%, seguita da Italia e Slovacchia (57%), mentre chiude la classifica la Finlandia, con il 21%. Per quanto riguarda il Belpaese, sembra che Napoli sia la città più scaramantica e che questo sia dovuto alle sue leggende e ai riti legati al culto di San Gennaro.
Ma quali sono le superstizioni più diffuse in Italia? Prima tra tutte c’è proprio quella legata ai gatti neri. L’origine di questa credenza risale al Medioevo, quando si pensava che le streghe assumessero sembianze feline per vagare indisturbate. In seconda posizione c’è il timore di passare sotto una scala, riconducibile all’uso di questi attrezzi durante le conquiste di fortezze e castelli. I soldati che ergevano le scale, infatti, erano spesso colpiti da olio o pece bollente ancor prima di salire. Anche rompere uno specchio è una cosa piuttosto temuta. I sette anni di guai che ne conseguirebbero risalgono all’antica Roma e al prezzo di questi oggetti: romperne uno era come dilapidare i risparmi di famiglia. Un discorso analogo è legato al sale: farlo cadere porterebbe sfortuna perché in tempi antichi il suo prezzo era proibitivo.
Certo, esistono anche dei veri e propri amuleti in grado di allontanare la cattiva sorte. Il più diffuso in Italia è senza dubbio il cornetto rosso, un’evoluzione moderna delle corna di animale che, in antichità, venivano appese fuori dalle abitazioni per allontanare il malocchio. Vanno appesi all’ingresso anche i ferri di cavallo che, grazie al materiale con cui sono prodotti, sembrano essere resistenti alle iettature. Ma, nel caso si fosse sprovvisti di un qualsivoglia amuleto fortunato, si possono sempre incrociare le dita, toccare ferro o cercare un quadrifoglio. Una serie di comportamenti che sono stati presi in esame dalla psicologia della superstizione e da numerose aree di studio, come l’antropologia e la sociologia. Se ne sono occupati anche due studiosi italiani, Gaetana Ragusa e Vittorio Trupia, in una ricerca che ha indagato il grado di superstizione di giovani e anziani.
È opinione comune che gli anziani siano più superstiziosi, probabilmente perché, fino a qualche tempo fa, tramandavano alla famiglia le storie mistiche della loro infanzia. Ma nel confronto tra due campioni composti da uomini e donne, il primo, formato da ragazzi tra i 15 e i 30 anni, e il secondo, da adulti con più di 40 anni, è risultato che i giovani sono più scaramantici della controparte adulta. Questo potrebbe dipendere dalla loro inesperienza, come afferma la age-theory (la teoria dell’età). Le generazioni più giovani, essendo più incerte sul futuro, adottano il pensiero superstizioso per superare la paura e l’angoscia di nuove sfide. Inoltre, sembra che le persone alla ricerca di un lavoro e di stabilità socioeconomica siano più inclini ad affidarsi a indovini ed oroscopi. La fascia di popolazione più anziana, d’altra parte, può fare affidamento sulla propria esperienza e sulle abilità acquisite nel corso della vita ogni volta che si trova a fronteggiare una situazione inedita. Lo conferma anche lo studio inglese condotto dal professore di psicologia Richard Wiseman: le persone diventano meno superstiziose con l’età. Il 59% dei ragazzi inglesi tra gli 11 e 15 anni, infatti, dichiara di essere scaramantico, ma la soglia si abbassa al 44% nelle persone tra i 31 e 40 anni, e raggiunge il 35% negli over 50. Un dato che dimostra che l’atteggiamento verso i fenomeni superstiziosi non è legato alla trasmissione da una generazione all’altra, ma a una fiducia nelle proprie capacità che si acquisisce con il tempo.
La psicologia della superstizione
Esiste una branca della psicologia che si occupa dei meccanismi alla base della superstizione. Secondo questi studiosi, la scaramanzia sarebbe una forma di condizionamento. Le persone, infatti, sono inclini ad associare le conseguenze degli eventi ai loro comportamenti. Indossare un determinato indumento, ad esempio, quando raggiungiamo obiettivi appaganti, può indurre a pensare che sia proprio il nostro abbigliamento a portare fortuna. Allo stesso modo, se un gatto nero ci attraversa la strada, possiamo ricondurre a quel momento tutto quello che di negativo potrebbe accaderci durante la giornata.
“Paese che vai, usanze che trovi”
I riti scaramantici sono tanti quanti i Paesi del mondo. In Cina, ad esempio, esistono molte superstizioni legate all’uso delle bacchette per il cibo: non si possono tagliare gli spaghetti con una di esse, così come non si possono piantare le bacchette in verticale in una ciotola di riso. Entrambi i gesti, infatti, sono presagio di sventura. Una credenza legata al sale, invece, arriva dalla Russia, in cui questo condimento è legato all’amore e al matrimonio: si dice che i piatti troppo salati siano frutto della preparazione di una donna innamorata. In Brasile, invece, sono molto attenti ai propri risparmi e sconsigliano caldamente di appoggiare a terra la borsa o il portafoglio: tutto ciò che contiene denaro, infatti, deve rimanere sollevato verso l’alto per fare in modo che la pecunia frutti. In ultimo, i danesi consigliano di custodire i cocci delle stoviglie rotte fino a Capodanno e di buttarli quella notte a casa di amici. Più è grande la mole da gettare e più sarà fortunato l’anno nuovo.
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