Nei Paesi sviluppati si parla da tempo di “invecchiamento della popolazione” come concetto innanzitutto quantitativo: mentre l’aspettativa di vita (fortunatamente) cresce per le generazioni nate in un momento demografico prospero, il prolungato rallentamento della natalità farà sì che nel 2050 gli ultrasessantenni saranno oltre il 35% della popolazione totale in Italia. Nel mondo, il numero di anziani con età pari o superiore a 65 anni raddoppierà fino a raggiungere 1,5 miliardi.
Non a caso, le Nazioni Unite hanno deciso di stabilire nel 2008 un Gruppo di Lavoro permanente sull’Invecchiamento che si riunirà anche a maggio, a New York, associazioni di tutto il mondo per portare il loro contributo a scrivere quello che sarà un documento condiviso dei diritti, una sorta ‘magna carta’ degli anziani.
La creazione di una Convenzione Onu sui diritti degli anziani è un passo considerevole, certamente, perché fornisce un corpus di principi universali vincolante per gli Stati e rafforza l’impegno a livello nazionale. Inoltre, promuove la coerenza delle politiche e delle azioni a livello internazionale, favorendo lo scambio di buone pratiche e la cooperazione tra gli Stati membri.
I principi a cui l’Onu si ispira maggiormente sono in sintesi tre: promuovere un invecchiamento attivo e sano per tutto il corso della vita, garantire l’assistenza a lungo termine e il sostegno a caregiver e famiglie; integrare l’invecchiamento per far crescere una società adatta a tutte le età. È evidente quindi che il tema dell’“invecchiamento della popolazione” nasce come esigenza quantitativa, ma va affrontato in modo qualitativo: una società che invecchia di fatto è anche una società che non si aggiorna nella capacità di cura e valorizzazione delle diverse età della vita incapace di integrare le diverse generazioni nelle diverse transizioni economiche, sociali, digitali e nelle sfide emergenti. Una società “vecchia” è una società che non sa superare lo stigma dell’invecchiamento, a partire dal settore sanitario, dove non solo il personale sanitario, ma persino gli stessi interessati, “gli anziani”, talvolta rinunciano a prevenzione, cura e screening medici con l’idea che “tanto, ormai…”. In realtà, i dati dimostrano che proprio l’attitudine psicologica e i pregiudizi verso l’invecchiamento influenzano drasticamente l’aspettativa di vita.
Lo hanno detto anche i geriatri di tutto il mondo che poche settimane fa hanno sottoscritto la Carta di Firenze, il primo manifesto mondiale contro l’ageismo sanitario, come risposta ad una cultura negativa dell’invecchiamento, che, molto lontana dall’essere un semplice adeguamento al politically correct, ha ricadute concretissime sulla qualità della vita delle persone e sui sistemi sanitari di tutto il mondo. Come 50&Più lo diciamo da sempre: non c’è un’età giusta per i diritti e non c’è diritto più importante di una vita che abbia pieno valore in ogni suo momento, in ogni sua età.
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