«Il web è lo stesso per tutti. Dipende dalla voglia che si ha di essere connessi e esplorare il mondo». La vede così Nicola Palmarini, direttore del Nica – il National Innovation Centre for Aging -, istituto di ricerca britannico che si occupa di studi legati all’invecchiamento o, come preferisce dire lui, “alle fasi della vita”. «Le generazioni più avanti con gli anni sfruttano la rete e ne traggono vantaggio come ogni altra, anche se in molti credono non sia così. Lo testimonia, oggi più che mai, la telefonata in video coi nonni che ci permette di mantenere una relazione tanto più in tempi di Covid».
Anziani, la narrazione distorta della tecnologia (e non solo)
Palmarini è tra i protagonisti di 50&Più del mese di maggio. È uno studioso fermamente convinto che dell’età matura si dia una rappresentazione assolutamente distorta: «È un falso mito che gli anziani non usino queste tecnologie. Poi, se parliamo di banda, di accessibilità, sì: lì non si è fatto molto. La rete è una tecnologia abilitante per ogni generazione».
Perché ritiene che degli anziani si dia un’immagine distorta?
Perché – e questo è un problema soprattutto italiano – quando si parla di anziani si ragiona solo sui bisogni e non sui desideri. Cioè, continuiamo a pensare che, siccome hai 60/70 anni, tu abbia giusto necessità e non più desideri. Non è un caso che, pur avendo in Italia un esempio di longevità in un luogo come Acciaroli – il paese col più alto tasso di centenari al mondo – i titoloni si finisca per trovarli sul New York Times e non da noi. Eppure è un caso studiato dalle università di tutto il mondo.
Il suo Istituto di ricerca di cosa si occupa?
È un centro di ricerca sostenuto dal Governo Britannico che fa leva su una grande comunità digitale composta da 8mila persone chiamate a fare codesign delle soluzioni, con l’obbiettivo di cercare di capire desideri e non solo bisogni. Al suo interno ci sono sì anziani, ma anche l’intera rete di relazioni che li circonda. Il nostro centro si occupa di far capire quali siano le opportunità legate alla cosiddetta longevity economy considerando che c’è una differenza enorme tra invecchiare in Italia, negli Stati Uniti, in Giappone, Brasile o Inghilterra. Dal punto di vista della dieta, dell’ambiente, biologico, geografico, dell’esposizione al climate change, della cultura. Cerchiamo, quindi, di interpretare le diversità delle popolazioni esponendo alle organizzazioni pubbliche e private quali siano le sfide e opportunità.
Posto che l’Italia è il secondo Paese per invecchiamento al mondo, dalle nostre parti gli anziani vengono tirati in ballo giusto quando si parla di pensioni.
Il gioco delle pensioni è una coperta cortissima che dovunque la tiri non porta da nessuna parte, ma di fatto è un gioco della politica di breve respiro. Per forza di cose, chiunque si vada a sedere su quella poltrona in qualche modo cerca di gestire ricadendo sulle altre generazioni. Abbiamo un articolo della Costituzione, il primo, che dice che la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro in cui la parola lavoro non è necessariamente legata solo al guadagno per il sostentamento, ma significa anche avere una vita dignitosa. E la dignità è pure cifra del contributo sociale che siamo in grado di dare alla comunità. Ecco perché, in Giappone, dove il contributo dell’individuo alla società viene veramente a mancare nel momento in cui non si riesce a far parte del sistema lavoro, si soffre tantissimo e i tassi di suicidi a fronte del pensionamento dimostrano come manchi immediatamente quel senso di essere un contributo alla vita comune. Quindi, il tema del lavoro andrebbe rimesso al centro.
È favorevole all’allungamento dell’età pensionabile?
Ritengo che ci sono dei lavori che devono fermarsi perché chi ha fatto lavori usuranti tutta una vita non può continuare così, ma ciò non significa che una persona non possa fare altro. Bisogna permettere che le conoscenze dei senior vengano messe a fattore comune nella società invece di metterli da parte.
A chi obietta che si creerebbe un conflitto generazionale, cosa risponde?
Questa del conflitto generazionale è spesso una narrazione di basso profilo per cercare di portare a casa qualche voto. Parte di questa narrazione è inventata. Fa comodo a qualcuno pensare che Greta abbia detto «Ci avete rubato il futuro», ma quante persone in età avanzata conosciamo che se ne sono fregate dell’ambiente? Gli anziani per primi sono preoccupati del futuro perché fa parte della natura umana essere preoccupati per i nostri simili, soprattutto se sono nella nostra linea di sangue. È chiaro, quindi, che la soluzione è nella collaborazione comprendendo che – ad esempio, nel mondo del lavoro – non succede niente se estendo la capacità delle persone di lavorare, perché non è che se vado in pensione automaticamente genero un posto di lavoro per un giovane.
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