Tutte le mattine Nick si sveglia nel suo cottage, immerso nella quieta campagna inglese, con una lunga serie di esercizi: esegue almeno 150 flessioni e un numero imprecisato di allungamenti.
È uno sportivo di 62 anni e per tutta la vita ha fermamente creduto nel detto che recita “allena il corpo per allenare la mente”. Ma è anche un abilissimo avvocato (tra i suoi clienti può vantare famosi calciatori e abili uomini d’affari), tanto in gamba da essere soprannominato “Mister Scappatoia”.
I suoi genitori non sono stati da meno: sua madre Pat, a 88 anni, non rinuncia a lunghe passeggiate nel verde e suo padre Keith è stato un appassionato giocatore di golf. Insomma, un patrimonio genetico familiare invidiabile.
Così, quando suo fratello sessantenne John, anch’egli grande sportivo, si è visto diagnosticare il morbo di Parkinson, la notizia è giunta improvvisa e inaspettata, lasciando tutti sbigottiti.
John adesso ha difficoltà a muoversi. A volte, anche solo parlare al telefono può essere una fatica estenuante. Eppure, parlando di lui, Nick afferma con certezza: «L’ultima cosa che vuole è essere compatito. Se fossi stato al suo posto avrei reagito con rabbia, pensando: non fumo, non bevo, pratico sport. Perché mi è capitato questo? Ma lui, incredibilmente, lo ha accettato con serenità». E ancora, ricordando gli anni passati: «John è sempre stato presente in tutti i momenti difficili della mia vita. Condividiamo troppi ricordi. Per questo è dura accettare il suo crollo fisico».
John, che non ha mai perso il suo buonumore, dal canto suo scherzando dice al fratello: «La mia vita notturna adesso è più eccitante della tua: posso addormentarmi ovunque, tranne che nel mio letto!». In effetti, l’insonnia è tra i primi segnali della malattia, che colpisce proprio la zona del cervello responsabile della regolazione del sonno.
Tuttavia, anche lui, nonostante la stanchezza, non rinuncia alla sua camminata quotidiana di almeno 4 chilometri e da poco ha anche iniziato ad andare in piscina, perché l’esercizio fisico, stimolando la produzione di dopamina, fa sì che l’organismo reagisca in maniera più positiva alle cure.
La diagnosi della malattia risale al 2015. Solo allora Nick ha compreso quei segnali che, nei due anni precedenti, gli erano parsi così estranei osservando suo fratello: il fatto che non riuscisse più a stare al passo mentre camminavano insieme, o la lentezza con la quale lo aveva visto mangiare un hamburger in un pub, infine la difficoltà a concentrarsi e a scrivere, adoperando caratteri sempre più piccoli.
Ciò che ora lo incoraggia è vedere che John non ha mai perso l’ottimismo e la voglia di reagire. Sa che la malattia non è riuscita a distruggere il loro rapporto. Il Parkinson ha portato una immensa differenza fisica tra loro, certo, ma null’altro cambierà. John, seduto accanto a lui, lo ascolta e annuisce con un sorriso.
Entrambi sono certi che i ricercatori in futuro troveranno cure sempre più efficaci, ma nel frattempo si impegnano a rimanere positivi concentrando tutti i loro sforzi sul presente.
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