«Una cosa forse ovvia che vale la pena ripetere è: “nessuno si salva da solo”. In questa ripartenza e in ogni fase, c’è bisogno di un patto intergenerazionale che non escluda nessuno e che favorisca la collaborazione tra le generazioni». A dirlo è Lucia Abbinante, direttrice dell’Agenzia Nazionale per i Giovani. Con lei abbiamo analizzato i risultati dell’indagine Nuovi orizzonti: il futuro ha un cuore antico svolta da Format Research per conto del Centro Studi 50&Più. «Non c’è più spazio per l’approccio semplicistico del ricambio generazionale – ha commentato -. Occorre guardare all’intergenerazionalità e alla contaminazione tra generazioni come asset imprescindibile dell’innovazione e del cambiamento».
Dottoressa Abbinante, nell’indagine condotta da 50&Più sul futuro delle giovani generazioni, il 78% degli intervistati coinvolti nel sondaggio si dichiara “molto o abbastanza fiducioso” sul fatto che il Paese possa tornare alla normalità, nonostante tutti i cambiamenti che la pandemia ha comportato nel corso dell’ultimo anno. Quali strategie vanno messe in atto per far sì che si avvii una ripresa che tenga conto dei nuovi bisogni a livello intergenerazionale?
La domanda che mi pongo è se davvero convenga tornare alla normalità di prima, o non cogliere l’occasione dei cambiamenti accelerati dalla pandemia per cercare un equilibrio migliore e una nuova normalità, nuovi modelli basati sulla sostenibilità, sulla cura del Pianeta, sul benessere delle persone, sulla promozione dell’equità sociale e dell’inclusione e sulla transizione digitale, puntando alla coesione tra generazioni. Le nuove generazioni sono le vere e proprie protagoniste delle grandi transizioni che stiamo attraversando. Perché il Paese possa ripartire, è necessario ascoltare i giovani, incoraggiarli, coinvolgerli nei processi decisionali e consentire che facciano rete. L’Agenzia Nazionale per i Giovani, in collaborazione con Ashoka Italia, ha lanciato recentemente il progetto “GEN C – generazione changemakers”, che mira proprio a mettere in relazione tra loro quei giovani che quotidianamente realizzano cambiamenti positivi per i loro territori, con l’obiettivo di costituire una grande comunità di giovani changemakers, cioè agenti del cambiamento.
Se i giovani si dicono ottimisti (37,6%), curiosi (31,3%) rispetto al futuro, per contro ammettono anche di sentirsi pieni di dubbi (29,7%). Come si scongiura l’ipotesi che, per trovare la stabilità di un impiego, siano costretti a emigrare? Il nostro Paese quali iniziative sta mettendo in campo per trattenere queste risorse e permettere loro anche di costruire una famiglia?
I giovani ottimisti proattivi sono i più importanti motivatori dei soggetti più fragili, ovvero quelli più disillusi verso la vita ed il futuro. L’osservatorio dell’Agenzia Nazionale per i Giovani, che dirigo, ci conferma che uno dei più importanti antidoti per il dubbio e la paura del futuro è nel rafforzamento della conoscenza di se stessi e delle proprie abilità, oltre che delle competenze accademiche. I programmi di volontariato e di mobilità giovanile consentono di conoscere altre culture, di relazionarsi con i propri pari e, soprattutto, di acquisire le cosiddette “soft skills”, cioè quelle competenze personali e relazionali che si apprendono sul campo e attraverso l’esperienza diretta.
Queste sono esperienze concrete che consentono ai giovani di orientare meglio il proprio percorso di vita e di trovare nuovi spazi professionali nelle nostre comunità. È indispensabile però anche evidenziare che noi oggi siamo la cosiddetta “flow generation”, ovvero quella generazione che ha fatto i conti con un’instabilità lavorativa strutturale, dal momento che il contesto storico, sociale ed economico è mutato ed i riferimenti che avevano i nostri genitori sono saltati. Vi è un dibattito in corso su cosa sia oggi il precariato e cosa sia un lavoro stabile e se lavoro stabile sia talvolta sinonimo di benessere più di un lavoro temporaneo. Le professioni del futuro sono sempre più trasversali, quindi credo sia molto più importante ragionare su un sistema di formazione e aggiornamento stabile di competenze, piuttosto che solo di lavoro stabile inteso come il lavoro fisso dei nostri genitori. La vera urgenza è garantire che il lavoro sia sempre dignitoso, nel rispetto degli standard di sicurezza e di sussistenza. In questo momento c’è troppa retorica sui giovani che non vogliono lavorare che inquina il dibattito: i giovani, come tutti i lavoratori, pretendono condizioni di lavoro giuste, e credo facciano bene.
Ad essere timorosi sul futuro dei giovani sono comunque gli anziani: si sentono preoccupati (35,5%), pieni di dubbi (30,1%), tristi (20,1%). Come giudica questo dato?
Sono saltati i modelli di “normalità” dentro i quali i giovani di ieri, ovvero gli anziani di oggi, hanno sviluppato i propri progetti e sogni di una vita. Parlare di “gig economy” oggi ad una generazione che è cresciuta con i valori di solidità e stabilità crea questo sentimento di preoccupazione e tristezza.
Secondo me, è importante che gli anziani continuino a sostenere i giovani nei cambiamenti e nelle transizioni che il momento storico ci sta chiedendo di affrontare. Ogni momento storico ha visto le giovani generazioni come energie generatrici di cambiamenti epocali che hanno avuto impatti intergenerazionali (penso al suffragio universale, al diritto allo studio, alla legge sul divorzio) e oggi i giovani stanno trainando la transizione green e digitale, stanno convivendo con nuove modalità di studio, di vita e di lavoro e stanno trasferendo queste competenze a livello intergenerazionale.
Rispetto di se stessi, senso del dovere, senso della famiglia come valori che gli intervistati ritengono fondamentali. Sia per i giovani sia per i senior. Cosa ci dice della nostra società questa vicinanza di vedute in generazioni che spesso, invece, si vogliono contrapposte?
Come dicevo prima, spesso per facilità nell’argomentare o per strumentalizzare, ci si inventa scontri che non sono reali. È evidente che non solo non sono contrapposte ma che è indispensabile che siano coese e, come mostra chiaramente l’indagine, vi è un allineamento nelle visioni e nei valori. È un tema di ciclicità storica. Oggi il modello non è più quello delle nuove generazioni trainate dalle generazioni più esperte perché più adulte, ma un modello di scambio tra generazioni in cui anche i giovani possono insegnare qualcosa. Una cosa forse ovvia che vale la pena ripetere: “nessuno si salva da solo”. In questa ripartenza e in ogni fase c’è bisogno di un patto intergenerazionale che non escluda nessuno e che favorisca la collaborazione tra le generazioni.
Per gli over 64 contano più le “hard skills”: qualità della formazione, conoscenza di una lingua straniera, competenze tecniche e professionali. Formazione continua, passaggio di competenze, lavoro dopo la pensione sono strade percorribili o tolgono possibilità di impiego ai giovani?
A mio avviso siamo in un momento in cui non c’è più spazio per l’approccio più semplicistico del ricambio generazionale. Occorre guardare all’intergenerazionalità e alla contaminazione tra generazioni come asset imprescindibile dell’innovazione e del cambiamento. Lavoro in team trasversali con competenze ed esperienze di vita diversificate, con età eterogenee: è questo l’approccio che il mondo dell’innovazione sta già da decenni sperimentando con successo. In alcune realtà istituzionali e produttive forse la carriera è ancora troppo legata agli anni di servizio: sarebbe una grande spinta all’innovazione affidare responsabilità importanti anche ai giovani, proprio per favorire lo scambio e l’integrazione tra esperienza e cambiamento.
I giovani, pur riconoscendo importanza agli aspetti in qualche modo tangibili della preparazione e del profilo della persona, tendono ad attribuire maggiore importanza alla flessibilità e alla capacità di adattarsi alle situazioni. Insomma, hanno imparato a fare i conti con il precariato e la mancanza di certezze. Rassegnazione o spirito dei tempi?
Direi spirito dei tempi, ma in una accezione positiva che significa spinta verso il futuro e che comprende entusiasmo, visioni innovative, competenze, abilità. Questa capacità di adattarsi ai grandi cambiamenti è una caratteristica distintiva delle nuove generazioni, come possiamo constatare attraverso i programmi europei realizzati dall’Agenzia Nazionale per i Giovani, ed è la chiave per interpretare il tempo presente e affrontare la ripartenza. Anche i nostri nonni hanno affrontato, ad esempio, le migrazioni. Il punto è fare di tutto affinché il precariato non sia una condanna, come è stato ed è, garantendo maggiori tutele e garanzie nelle fasi di passaggio.
Gli under 30 ritengono che le priorità del Paese siano la salute, la formazione e la sostenibilità ambientale. Gli over 64 invece considerano come prioritarie la formazione, l’occupazione e la sanità. Quali risposte occorre dare per rispondere a queste prospettive? E, nel green, quale futuro c’è per i giovani?
I giovani sono molto attenti alle grandi questioni che animano il dibattito pubblico: inclusione, contrasto alle discriminazioni, tutela ambientale. Non è un caso che i grandi movimenti di sensibilizzazione intorno a queste questioni siano nati proprio per iniziativa delle ragazze e dei ragazzi. Molti dei progetti attivi grazie al Corpo Europeo di Solidarietà hanno come principale obiettivo la tutela dell’ambiente e ciò testimonia la grande attenzione e la sensibilità dei giovani verso l’ambito green. I più giovani hanno capito che la questione ambientale sta diventando il tema principale per il futuro, i più adulti lo vedono ancora troppo come una battaglia di principio. Spero che non arriveremo tardi a capire che è invece una emergenza reale, come i disastri climatici, anche in questa estate, hanno dimostrato.
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