Nel tempo del Covid-19 si sono rese più evidenti e penose alcune situazioni di difficoltà che accompagnavano la nostra vita anche in tempi “normali”. Forse per questo alcuni sostengono che usciremo dalla crisi migliori di come vi siamo entrati. Io non sono in grado di prevedere il futuro; sono però certo che l’esperienza di solitudine vissuta da molte persone anziane nel tempo del Covid-19 è stata drammatica e ha lasciato segni profondi nella mente e nella carne. Cosa accadrà ora? Gli anziani come riusciranno a sopportare le nuove chiusure e poi – ce lo auguriamo – a ritornare alla vita normale?
La solitudine è una condizione pesante
La solitudine è la condizione vissuta da chi si sente privo di ogni supporto offerto dagli altri, qualsiasi sia la ragione di questo abbandono (disinteresse, paura, dimenticanza, rifiuto, assenze oggettive). L’anziano in queste circostanze sa che, qualora avesse una necessità, nessuno risponderebbe alla sua richiesta di aiuto.
Secondo vari studi epidemiologici, circa un terzo delle persone anziane, in particolare gli uomini, vivono in una condizione di solitudine che comporta grave sofferenza sul piano psichico e rilevanti danni sul piano della salute fisica. La persona vive una sensazione di inutilità, di peso per gli altri, di vivere in una comunità che non si accorge di lui, delle sue difficoltà, della sua sofferenza. Vive quindi in uno stato di continua agitazione, il sonno è alterato, rischia di divenire dipendente dall’alcool, mangia in maniera disordinata e spesso eccesiva, abusa del tabacco. Poi trascura l’igiene, riduce i movimenti e l’attività fisica. In queste situazioni frequentemente compare la depressione, in particolare aumenta in modo rilevante il rischio di una compromissione delle funzioni cognitive. La persona perde ogni interesse per la propria vita e per quella degli altri. Neppure prova più a lanciare un grido di dolore verso l’esterno, perché nessuno lo raccoglie o, quantomeno, ha l’impressione che nessuno voglia raccoglierlo. Anche i servizi sociali e sanitari si dimenticano di lui o mai l’hanno intercettato. Le vicende tristissime degli omicidi-suicidi di coppia sono la testimonianza di un abbandono non solo da parte dei parenti e del vicinato, ma anche di chi avrebbe la responsabilità di individuare le fragilità presenti nel territorio e di cercare di intervenire.
Si può essere soli anche in coppia
La solitudine nella casa non è solo di un singolo individuo, ma può essere anche quella di una coppia. In particolare, ciò avviene quando uno dei due coniugi è colpito da una malattia invalidante e l’altro dedica la vita al suo servizio. Spesso questa condizione porta ad un progressivo allontanamento dalla realtà del mondo esterno. Alcune ricerche indicano che quando la persona si dedica al coniuge ammalato di demenza, la condizione di solitudine colpisce un terzo delle coppie, trascurate dalle famiglie originarie, senza relazioni, mai raggiunte dai servizi. Non sempre è utile l’uso dei tablet per comunicare con l’esterno, quando l’anziano non può ricevere visite per ragioni sicurezza. Anche in condizioni normali, i contatti per via elettronica con parenti lontani non sono in grado il più delle volte di lenire la sofferenza imposta dalla solitudine. In molti casi la preghiera rappresenta l’unico conforto.
Troppo spesso la persona anziana vive la sua casa come un posto di dolore e non come un luogo protetto. Non intravvede speranza nel proprio futuro; per lunghi mesi la televisione ha diffuso notizie ansiogene. Le circostanze tengono lontani parenti e amici.
La solitudine si può combattere
Siamo alla fine del 2020, quando si fanno i programmi per l’anno che viene. È assolutamente necessario guardare positivamente ai tempi nuovi. Il Covid-19 potrà durare ancora per qualche mese, ma il vaccino e le nuove terapie sono una realtà. Non vendiamo illusioni, però realisticamente tempi migliori si avvicinano. Dobbiamo avere la forza di attendere, cercando dentro di noi il coraggio per non farci dominare dalla paura. Sentirsi partecipi della grande famiglia dei 50&Più costituisce un piccolo aiuto. Siamo certi dentro di noi che “il covid non ferma la vita”; allo stesso tempo questa certezza costituisce un impegno perché ciascuno, con i mezzi a propria disposizione, cerchi di accompagnare chi è solo, riaffermando che la solitudine è una nemica che si può battere. Cosa è possibile fare il queste circostanze?
L’impegno è prima di tutto non rinunciare a vivere, cioè a guardare fuori dalla finestra, attraverso le letture, la televisione, i social media. Anche chi non è più giovane ha il diritto-dovere di capire cosa avviene fuori oltre le porte di casa, di cercare contatti attraverso il telefono, evitando di rifiutare i possibili contatti telematici. La solitudine non si combatte con la rabbia che induce alla chiusura. Ad esempio, il vedere un nipote con il cellulare e parlargli è un modo per capire che loro, i nostri amatissimi nipoti, non si sono scordati dei nonni. Così non si vive con angoscia mista ad astio per quello che avviene “fuori”, ma con tranquillità si cerca di comprendere gli avvenimenti, costruendo con pazienza e tolleranza, momenti di relazione anche a distanza. A sua volta, la comunità deve accompagnare la vita delle persone sole, creando reti il cui primo obiettivo è dare risposte adeguate ai bisogni pratici e psicologici. In questa prospettiva la comunità controlla anche il funzionamento dei servizi che devono accompagnare nel tempo l’anziano, evitando la ricerca angosciante e solitaria di punti d’appoggio al momento del bisogno.
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