Quel servizio di porcellana tramandato di generazione in generazione, l’orologio a pendolo, quel mobile ormai divenuto un pezzo di antiquariato di valore. Quei “cimeli” anticipatori del boom economico, la macchina da scrivere Olivetti 22, quella per cucire a macchina, la Necchi, i primi giradischi, magari ancora funzionanti, ancora apprezzati come oggetti vintage. Sono tutte eredità, testimonianze tangibili di un progresso epocale, di cambiamenti sociali e di costume che sembrano di un secolo fa, ma non lo sono. Non sono nemmeno “antichi”, troppo giovani ancora.
A questo punto verrebbe da chiedersi: ma oggi, nell’era del digitale e dell’usa e getta, quali oggetti duraturi si tramanderanno di generazione in generazione? Cosa se ne faranno le prossime generazioni di un vecchio cellulare, del primo esemplare di smartphone, e-book o tablet? Saranno di interesse? Significheranno qualcosa? Certamente non potranno essere riusati, ma forse riaccesi, giusto per vederne il funzionamento.
Tutta colpa dell’obsolescenza programmata
Se almeno le tecnologie digitali fossero riparabili e durassero nel tempo. Forse avrebbe un senso conservarle e tramandarle. I dispositivi elettronici e digitali purtroppo hanno una durata limitata, come molti altri prodotti in uso ormai. Sono programmati per durare un certo tempo, e poi si è costretti alla sostituzione. È sufficiente che un componente sia difettoso o semplicemente non funzioni più perché sia tutto da buttare: la batteria non può essere sostituita, il software non è più supportato. Certo, c’è il riciclo, alcune parti si possono recuperare per produrre altre cose. Rimane il fatto però che nell’Unione europea i rifiuti elettrici ed elettronici aumentano ogni anno del 2% e solo il 40% viene avviato al riciclo. Eppure, due persone su tre vorrebbero continuare a utilizzare il proprio dispositivo digitale più a lungo se questo non compromette la funzionalità, come è riportato nel Piano di azione Economia Circolare della Commissione europea.
In arrivo “il diritto alla riparazione”
Nel Piano la Commissione europea ha introdotto un principio fondamentale: “il diritto alla riparazione”. Questo dovrebbe concretizzarsi entro il 2021 in una norma che impone una progettazione più sostenibile e votata al riutilizzo e alla riparazione anche per smartphone e tablet. In sostanza la norma dovrebbe ricalcare quella già prevista lo scorso ottobre per gli elettrodomestici, dove viene stabilita anche la fornitura di pezzi di ricambio per 10 anni. Un lasso di tempo che al momento non sembra riguardare i dispositivi hi-tech.
L’atteggiamento delle nuove generazioni
L’obiettivo del “diritto alla riparazione” rientra tra le azioni necessarie per l’abbattimento delle emissioni di CO2 e quindi della lotta ai cambiamenti climatici. Un’attenzione che è ben presente nelle nuove generazioni, attente all’impatto ambientale dovuto all’usa e getta e al continuo rimpiazzo degli oggetti.
Proprio per questo motivo, tra gli under 35 c’è maggior interesse verso i mobili antichi rispetto a quelli moderni fabbricati in serie, come osserva Caroline de Cabarrus, consulente di interior design nel Regno Unito, intervenuta sul tema per la BBC.
Forse, chissà, a breve anche per vecchi smartphone e tablet potrà esserci un futuro. Magari sarà possibile ripararli, ristrutturarli come un mobile, un vecchio orologio, un antico vaso di porcellana ed essere così testimonianza tangibile di un’epoca, di un’eredità per le prossime generazioni. Non un rifiuto.
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