Lo rileva l’Istat nella prima stima statistica integrata lavoro-redditi-misure di sostegno, relativa al 2020. Oltre all’affermazione del lavoro a distanza, c’è un aumento “consistente” di chi rinuncia a cercare un’occupazione. La CIG (cassa integrazione guadagni) il sostegno al reddito più diffuso, ma fra i più poveri prevale nettamente il ricorso al reddito di cittadinanza. In entrambi i casi, misure preesistenti alla pandemia.
Nel 2020 oltre 500mila disoccupati, soprattutto poveri e con profili lavorativi poco qualificati, hanno deciso che non valeva neppure la pena cercare un nuovo lavoro. A perdere l’occupazione a causa della crisi pandemica, soprattutto precari e autonomi, nei settori maggiormente colpiti dall’emergenza Covid: servizi e attività commerciali. Quasi 11 milioni di famiglie italiane, più del 40% del totale, hanno usufruito di almeno un sostegno al reddito. A partire dalla CIG, il sussidio più diffuso, che ha interessato 6 milioni di famiglie, fino a reddito e pensione di cittadinanza di cui hanno beneficiato nella maggior parte dei casi (oltre il 75%) le famiglie con redditi più bassi.
Questo in sintesi il quadro disegnato dall’indagine su mercato del lavoro, redditi e misure di sostegno diffusa dall’Istat lo scorso 17 gennaio. Per la prima volta, l’Istituto presenta una “stima statistica integrata”. La base di analisi è fondata su un campione delle forze di lavoro nel biennio 2019-2020 di 300mila persone per anno. Questa viene integrata con informazioni su stato occupazionale, redditi e misure di sostegno mediante dati provenienti da fonti amministrative e rilevazioni campionarie svolte dall’Istat.
Poveri sempre più inattivi, il lavoro a distanza cambia le nostre abitudini
Sempre più persone smettono di cercare il lavoro che non hanno. Secondo l’indagine, infatti, al calo degli occupati (-464 mila), e dunque del tasso di occupazione della popolazione 15-64 anni (dal 59% al 58,1%), si accompagna anche la riduzione dei disoccupati (-269 mila, con un tasso dal 10,2% al 9,4%) a fronte di un “consistente incremento” degli inattivi: +567 mila, con un aumento del tasso di inattività dal 34,3% al 35,9%. Effetti che sono più marcati fra le persone con redditi più bassi. “Le classi di reddito più basse – spiega infatti l’Istat – si caratterizzano per riduzioni più marcate della disoccupazione e aumenti dell’inattività, dovuti presumibilmente allo scoraggiamento nel cercare lavoro, alla chiusura di attività con opportunità di impiego per professionalità meno qualificate, al minore accesso a mezzi di ricerca di lavoro mediante Internet”.
A fare le spese dell’emorragia di posti di lavoro sono soprattutto i dipendenti a tempo determinato (il tasso di occupazione passa dal 7,9% al 6,9% fra gli individui di 15-64 anni) e gli indipendenti (dal 12,6% al 12,3%). Per gli autonomi, l’Istat osserva che “perdono l’occupazione soprattutto le categorie meno qualificate e quelle che operano nelle attività commerciali e nei servizi, settori in cui l’impatto delle misure di lockdown è stato marcato”; ma sono anche “le professionalità più qualificate (imprenditori e professioni tecniche e intellettuali ad elevata specializzazione) che registrano le riduzioni occupazionali più accentuate”.
Cambiano le nostre abitudini con l’affermazione del lavoro a distanza. “Nel 2020 il lavoro da casa ha segnato un eccezionale incremento – conferma l’Istat – raggiungendo il 13,6% per gli occupati 15-64enni (4,6% nel 2019)”. Anche in questo caso si osservano differenze nelle diverse classi di reddito: fra i più ricchi ha interessato il 24% degli occupati, mentre solo il 7% degli occupati nelle due classi più povere.
Quasi 11 milioni di famiglie hanno chiesto un sostegno economico
Sono circa 10 milioni 619 mila, pari al 40,7%, le famiglie italiane che hanno beneficiato di almeno una misura di sostegno al reddito. Di queste, un milione e 613 mila (il 15,2% delle famiglie beneficiarie e il 6,2% di quelle totali) ha percepito più di un tipo di sostegno al reddito.
Tra le famiglie beneficiarie dei sostegni, l’84,3% ha percepito esclusivamente sussidi legati all’attività lavorativa (indennità per lavoratori autonomi e atipici, cig, bonus lavoratori domestici e bonus baby-sitting); il 12,7% unicamente sussidi di contrasto alla povertà (reddito e pensione di cittadinanza, reddito di emergenza); il 3% entrambe le tipologie.
Anche nei sussidi prevalgono le disuguaglianze
I sussidi legati alla sfera lavorativa hanno riguardato prevalentemente le famiglie residenti nel Centro-Nord (circa il 90%), appartenenti alle fasce di reddito più alte, quasi esclusivamente con un grado elevato di istruzione (94% del totale) e con una prevalenza di occupati in famiglia (92%). Mentre i sussidi contro la povertà sono stati erogati prevalentemente alle famiglie del Mezzogiorno (circa il 25% del totale), appartenenti alla fascia di reddito più basso (37,5%). L’incidenza di chi ha usufruito solo di misure di contrasto alla povertà è inoltre, al contrario dei sostegni legati al lavoro, più elevata della media tra le famiglie caratterizzate da bassi livelli di istruzione (19,1%) e tra quelle dove la maggioranza degli individui è disoccupata (63,9%).
Quasi la metà dei dipendenti in cig. Più di un autonomo su 10 in difficoltà
La cassa integrazione è stata la misura di sostegno al reddito più diffusa in assoluto. Ha infatti interessato quasi 6 milioni di famiglie, poco più di un quinto delle quali ha beneficiato di altri sussidi, in primo luogo dell’indennità 600-1.000 euro per gli indipendenti (12,3%) e a seguire del bonus baby-sitting (5,9%). Nel 2020, per il 44,5% dei lavoratori dipendenti del settore privato extra-agricolo è stata utilizzata almeno un’ora in CIG. La quota raggiunge il 51,3% per i lavoratori a tempo indeterminato, con forti concentrazioni nei settori delle costruzioni e degli alberghi e ristoranti (oltre il 70%).
L’indennità per i lavoratori autonomi e atipici ha riguardato il 10,8% della popolazione in età attiva; con incidenze più elevate nella classe di reddito più povera (13,6%) e nei settori agricoltura (65,2%), costruzioni (30%), alberghi e ristoranti (29,2%) e commercio (26,5%).
Oltre all’indennità per gli autonomi, nel 2020 è stato introdotto anche il bonus per i lavoratori domestici. L’Istat stima abbia coinvolto circa un quarto del totale dei lavoratori domestici. Soprattutto donne, cittadini extra-comunitari e occupati. Inoltre, i beneficiari si collocano prevalentemente nelle famiglie con redditi più bassi.
Il reddito di cittadinanza si conferma un sussidio contro la povertà
Nel 2020 il 75,5% delle famiglie beneficiarie del reddito o pensione di cittadinanza fa parte della fascia di famiglie più povere. Il reddito di emergenza, la misura emergenziale di contrasto alla povertà, ha coinvolto invece il 62,4% delle famiglie appartenenti a questa fascia. Da evidenziare secondo l’Istat il fatto che, sebbene le erogazioni del reddito di cittadinanza siano destinate principalmente a famiglie con una prevalenza di componenti inattivi, a partire da maggio 2020 si è osservata una diminuzione di queste ultime e un aumento della quota di famiglie con una prevalenza di individui occupati (dal 19,9% al 30,8%) a fronte di una diminuzione dei percettori con prevalenza di inattivi in famiglia (dal 69,7% fino al 57,2% registrato ad aprile). Il reddito di emergenza ha coinvolto una quota più ampia di famiglie con individui di cittadinanza non italiana (24,3%) rispetto al reddito di cittadinanza (14,4%).
Più della metà delle famiglie in crisi ha ricevuto sostegni che esistevano prima del Covid
Se si considerano in modo distinto i sussidi già esistenti e quelli introdotti per fronteggiare l’emergenza Covid, allora si osserva che la maggior parte delle famiglie beneficiarie (55,4%, ovvero 7 milioni 188 mila famiglie) ha ricevuto esclusivamente sostegni al reddito preesistenti come cig e RdC. Circa un terzo, il 32,3% pari a 4 milioni 741 mila, ha avuto solo misure disegnate per l’emergenza Covid-19 (indennità per lavoratori autonomi e atipici; bonus lavoratori domestici; bonus baby-sitting; REM). Il 12,3% ha percepito entrambe le tipologie.
I sussidi preesistenti al Covid hanno interessato maggiormente le famiglie del Nord (58%), con redditi medio-alti (62,8%) e con livelli di partecipazione al mercato del lavoro più elevati. Più eterogenea la diffusione delle misure emergenziali. Infatti – osserva l’Istituto – hanno coinvolto sia le famiglie con livello di istruzione medio-alto (42,1%) che quelle con bassi livello di reddito (39%) che hanno generalmente livelli di istruzione inferiori.
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