Chiusi all’interno di una “società senza dolore” sempre meno disposta a lasciare spazio al fallimento alla sofferenza, al conflitto. I genitori restano importanti modelli di identificazione per costruire la propria personalità. I nonni figure affettive significative.
Daniele ha vent’anni, una famiglia normale, un lavoro, degli amici. Una vita che, in superficie, è come quella di tanti altri ragazzi. Fino al blackout: una domenica apre gli occhi e si ritrova in un ospedale psichiatrico senza neppure ricordare come ci sia arrivato. Scoprirà presto di essere stato ricoverato per un Trattamento sanitario obbligatorio dopo una violenta crisi di rabbia. Ha inizio così Tutto chiede salvezza, scritto da Daniele Mencarelli. Il libro, da cui è stata tratta anche l’omonima serie di successo, affronta il tema del disagio psichico tra i giovani, un mostro talvolta improvviso la cui origine spesso non è chiara, ma segue un filo complesso, quello della storia personale.
Una persona su otto nel mondo – secondo l’Oms – vive situazioni di disagio mentale. Si tratta di un quadro piuttosto complesso che va dallo stato di ansia al disturbo bipolare, una situazione tornata alla ribalta durante la pandemia con un aumento dei disturbi soprattutto tra i giovani. Proprio di loro, dei ragazzi, abbiamo chiesto a Sonia Bonassi, psicologa ad orientamento dinamico, psicodiagnosta, specializzata nell’età dell’adolescenza e della giovane adultità.
Dottoressa Bonassi, che tipo di percorso formativo ha scelto e di cosa si occupa nel suo settore?
Lavoro privatamente come libera professionista e collaboro con diverse realtà sul territorio, tra cui il Consultorio Familiare Diocesano e la cooperativa sociale “Il Calabrone” di Brescia. Mi occupo di supporto psicologico rivolto agli adolescenti e ai giovani secondo una prospettiva psicodinamica. Dopo aver conseguito la laurea in Psicologia dello Sviluppo e dei processi educativi all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ho frequentato un master annuale in Psicologia dei nuovi media e una formazione biennale nell’utilizzo dei test proiettivi. Oggi frequento la scuola di specializzazione in Psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto presso l’Istituto Minotauro di Milano.
Quali possono essere, a suo avviso, le situazioni di stress e disagio in cui i giovani rischiano di compromettere seriamente la loro identità?
Le situazioni di stress e disagio che osservo di frequente ritengo possano essere ascrivibili ad un sentimento diffuso di fragilità. È un sentimento vissuto in nome di aspettative iper-ideali di successo, popolarità e competenza, alimentate da una “società senza dolore” che non lascia sempre spazio al fallimento, alla sofferenza e al conflitto.
Oggi si parla molto di bullismo e violenza di gruppo: quali sono, in questo caso, le dinamiche che portano all’emulazione tra i giovani?
Anche qui, le dinamiche che conducono a fenomeni di bullismo hanno in realtà a che fare non tanto con l’attaccare chi è diverso, quanto col prendersela con chi viene percepito fragile. È come se il bullo non tollerasse in sé stesso le fragilità e questo lo spingesse a cercare chi è portatore delle medesime fragilità. È un modo per dire al mondo che il fragile è l’altro e non lui, il bullo. Questo lo conduce a concentrarsi sulla vulnerabilità dell’altro, così da non vedere la propria. A suscitare, a sollecitare dinamiche di bullismo, quindi, oltre a ciò che ha più strettamente a che vedere con aspetti di diversità come disabilità, differenze di genere, età, religione, etc., è questa percezione, considerando poi che alcuni elementi culturali insegnano ad avere successo proprio in nome della prevaricazione sull’altro.
Che ruolo gioca la famiglia in situazioni di difficoltà psicologiche dei giovani? E, in particolare, quale può essere il ruolo dei nonni nella crescita dei ragazzi?
Ritengo che la famiglia sia un pilastro fondamentale nella vita dei ragazzi: i genitori rappresentano importanti modelli di identificazione con cui confrontarsi per la costruzione della personalità e i nonni figure affettive significative. Tuttavia, i ragazzi si trovano spesso nella condizione di dover fronteggiare una fragilità adulta, collegata spesso ad una difficoltà a sostenere i principali compiti della crescita, tra cui la separazione e l’individuazione del sé.
Quanto influisce il contesto socioeconomico? Ci sono casi in cui anche in un contesto economicamente agiato il malessere si sviluppa? O lo fa soprattutto in contesti meno agiati?
Il contesto socioeconomico ha chiaramente un’influenza. Uno disagevole rappresenta un fattore di rischio. È ovvio poi che la manifestazione del disturbo psicologico dipenda dall’interazione tra diversi fattori di rischio – tra cui appunto il contesto socioeconomico -, magari una famiglia che non riesce a fare appello a una rete significativa di supporto esterno. Una cosa che accade spesso in un contesto disagevole. Non penso però possa essere ritenuto l’unico elemento patognomonico (evento o sintomo specifico di una determinata malattia che ne consente la diagnosi, n.d.r.): la manifestazione del disagio è legata ad una serie di elementi come l’aspetto costituzionale della persona, le esperienze relazionali vissute, le esperienze scolastiche, le modalità con cui vengono fronteggiate le sfide evolutive.
Come sono cambiate le difficoltà psicologiche dei giovani prima e dopo il Covid? A livello scolastico c’è stato un aumento di quelli con Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento n.d.r.) e Bes (Bisogni educativi speciali n.d.r.)?
Rispetto al Covid la situazione è un po’ controversa. Da un lato le fragilità adolescenziali tipiche di questa società postmoderna erano ben visibili anche prima della pandemia, dall’altro però l’emergenza ha rappresentato un ulteriore fattore che ha aggravato dei disagi già presenti. Ad esempio, la “reclusione” domestica ha reso ancora più fragili una serie di competenze relazionali e affettive che solitamente vengono coltivate nel rapporto con l’altro. L’ausilio di Internet, con cui si possono intrattenere relazioni comunque molto significative, non ha potuto ovviare a questo aspetto legato al contatto. Non credo, però, che abbia inciso a livello di disturbi specifici dell’apprendimento perché questi hanno origini e uno stampo neurobiologico.
Secondo lei, oggi, qual è la sfida più importante a livello di salute mentale da affrontare con i giovani?
Forse uno degli aspetti più importanti con cui ci confrontiamo spesso è una grande fragilità narcisistica, che un po’ si esprime nell’estrema sensibilità al riconoscimento, nel timore di essere ferito dallo sguardo e dal giudizio altrui e nella frequente presenza di un sentimento diffuso di vergogna che va un po’ ad intaccare il senso dell’autostima. Questo è un aspetto su cui mi capita spesso di riflettere con i ragazzi e di lavorare insieme a loro.
© Riproduzione riservata