Nadine fa parte dell’ultima generazione di automi sociali, destinati – in un futuro non troppo lontano – al ruolo di assistenti, a casa e sul lavoro. Ma è anche la protagonista di un singolare esperimento: per qualche giorno ha intrattenuto, divertendoli, gli ospiti di una casa di cura giocando con loro a Bingo. Al punto da diventare una compagnia gradita agli esseri umani.
Perché un robot nelle case di cura?
Negli ultimi anni si sono susseguiti notevoli progressi nell’assistenza medico-sanitaria, con un conseguente aumento della popolazione anziana. Una delle problematiche scaturite da questa situazione è la scarsità di personale destinato all’assistenza e alla cura della terza età. Secondo i ricercatori, la presenza di un robot nelle strutture per anziani avrebbe un duplice effetto positivo. Sarebbe di stimolo per le attività ricreative degli ospiti e ridurrebbe il carico degli operatori, che in tal modo disporrebbero di più tempo per soddisfare i bisogni emotivi degli assistiti.
Chi è Nadine, il robot più umano al mondo
Nadine è un robot umanoide nato dall’inventiva di Nadia Thalmann, esperta di robotica sociale e direttore dell’Institute For Media Innovation di Singapore. È alta poco più di un metro e 30, pesa 35 kg, ha una pelle morbida, una cascata di capelli castani e le fattezze della sua “creatrice”. Può riconoscere i volti, stringere le mani, sorridere e dialogare in diverse lingue. Ha già lavorato come receptionist per la Nanyang Technological University di Singapore, dove è stata progettata. Ed ora è pronta per il ruolo di assistente agli anziani.
Bingo!
Lo dimostra uno studio dell’Università tecnologica Nayang, realizzato presso la casa di cura Bright Hill Evergreen di Singapore. Con la partecipazione di 29 residenti over 60, Nadine ha condotto il gioco del bingo, chiamando i numeri e congratulandosi con i vincitori. Grazie all’Intelligenza Artificiale, è stata in grado di imbastire dialoghi, esprimere emozioni, conservare la memoria di volti e conversazioni. È stata anche riprogrammata per l’occasione. I ricercatori volevano infatti che apparisse sempre paziente, anche davanti ad un ospite arrabbiato. Inoltre, per facilitare la comprensione, le hanno modificato l’intonazione, facendola parlare più lentamente e con un tono di voce più alto.
Se la macchina è più divertente dell’uomo
Tutte le sessioni di Bingo di Nadine venivano filmate così da confrontare le reazioni e i comportamenti dei giocatori con altre registrazioni della stessa attività, condotta però dagli operatori della struttura. Ne è emerso che gli anziani si divertivano di più in compagnia del robot. Apparivano più sereni e felici, sorridevano e si distraevano meno, evitando di chiamare il personale per qualsiasi necessità.
La chiave del successo: un aspetto “umano”
Quanto accaduto non stupisce gli scienziati, consapevoli delle qualità di Nadine: un aspetto umano e una grande capacità di comunicazione, lettura dei gesti e mimica facciale. Il realismo dell’umanoide è infatti fondamentale per il suo impiego nelle interazioni umane, specialmente tra gli anziani che hanno meno dimestichezza con la tecnologia. Un robot dall’aspetto umano, e dunque familiare, è infatti utile a colmare questo divario.
Il futuro della robotica sociale nelle RSA
Per Nadia Thalmann ciò significa che in futuro i robot umanoidi potranno essere introdotti nelle case di cura per divertire gli anziani, lasciando libero il personale di svolgere altri compiti. Nel frattempo, lei e i suoi colleghi continueranno ad esplorarne il potenziale ruolo come assistenti e caregiver. «L’obiettivo è migliorare la loro capacità di comprensione e reazione, così che abbiano una maggiore consapevolezza degli eventi circostanti», afferma la Thalmann. «Vogliamo che Nadine sia libera di muoversi e di rivolgersi agli utenti, interagendo direttamente con loro».
“Non sono giocattoli”
Il tema dell’Intelligenza Artificiale applicata agli anziani è delicato e offre molti spunti di riflessione. Come dichiara all’Ansa Filippo Cavallo dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Firenze, questi androidi “non sono giocattoli, ma potenti strumenti di cura”. E non devono in alcun modo sopperire alla mancanza di personale o di contatti sociali. Una questione non di poco conto.
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