Cinque album italiani e cinque internazionali per una classifica in ordine sparso delle proposte più significative, a nostro modo di vedere (pardon, ascoltare), apparse durante gli scorsi 12 mesi.
È molto triste iniziare un articolo dedicato alle opere migliori di un’intera stagione di musica con il ricordo di un artista che ci ha lasciato pochi giorni fa, avendo realizzato uno dei lavori che meritano per qualità e intelligenza un posto sicuro nella nostra scelta.
Il mirabile congedo di Paolo Benvegnù
Paolo Benvegnù, cantautore milanese, già con gli Scisma, se n’è andato l’ultimo giorno dello scorso anno a seguito di un improvviso malore. Il suo È inutile parlare d’amore, uscito a metà gennaio 2024, è stato premiato dal Club Tenco come migliore album dell’anno per la canzone d’autore. E questo eccellente scavo della realtà contemporanea alla ricerca dell’ideale e delle emozioni profonde, non scalfite dal pragmatismo imperante, merita certamente un’attenzione non superficiale.
Da Marracasch a Cosmo
Tra i dischi italiani che più ci hanno colpito segnaliamo innanzitutto il settimo cd di Marracash È finita la pace, per molti versi in sintonia ideale con quello di Benvegnù, ma più diretto sull’attualità, più duro, più polemico, in cui il rapper 45enne fa scuola ai giovani leoni del genere e sa anche scivolare senza cadute in ambito cantautorale. Riuscendo sempre a mettere a fuoco concetti e suoni, senza falsi moralismi e senza cadute di stile. Anzi.
L’album elettronico Sulle ali del cavallo bianco, firmato dal cantautore deejay Cosmo, è nato con l’idea di suonare «del pop assolutamente immediato, facile, ma che sembri fatto dagli alieni» e, tra intimismo e psichedelica, tra ricerca del profondo e voli verso l’assoluto, ci riesce appieno, dando una significativa spinta in avanti a certo sonnacchioso panorama musicale nostrano.
Dai Fuera a Cesare Cremonini
È uscito da pochi giorni (il 13 dicembre) ma è già un must tra gli addetti ai lavori e gli ascoltatori dei club più attenti al nuovo. Si tratta del terzo album del trio Fuera, intitolato Sonega Sonela, che corre a perdifiato in territori che hanno i confini curvilinei dell’orizzonte. La miscela parte da stimoli di gusto iberico e reggaeton per poi aprire quella ritmicità istintiva a influenze elettroniche, variazioni trap, stridii glitch, pop oltre misura. L’esito è una continua scoperta che fa stare bene.
Tra i lavori dei big ci è piaciuto soprattutto Alaska Baby di Cesare Cremonini, che ha voluto impegnarsi come fosse un nuovo esordio. Tra momenti che omaggiano i Beatles e altri gli Oasis, canzoni d’autore vere e proprie e groove ipnotici alla Beck, la varietà è assicurata e coinvolge, grazie anche al supporto di Elisa, Luca Carboni e del pianista di David Bowie, Mike Garson.
È di Charli XCX l’album dell’anno
Decisamente più difficile – o più facile considerata la quantità di ottimo materiale apparso nel 2024 – indicare il meglio del panorama mondiale. Ci proviamo, dichiarandoci subito d’accordo con i critici della rivista Rolling Stone, che indicano come album dell’anno Brat di Charli XCX.
Il sesto cd della britannica Charlotte Emma Aitchison coniuga l’immediatezza da classifica con la ricerca sonora. Unisce il suo diario personale, la sua vulnerabilità emotiva, il suo ruolo di popstar mondiale trentenne, i suoi conflitti interiori sull’avere un bambino, alle emozioni di un pop evoluto, che non sfugge sperimentazioni e ricerca, che usa ritmi da pista da ballo, distorsioni hyperpop e ganci sintetici, con lo scopo di «catturare una sensazione di caos». Un album sontuoso, ripreso in versione remix da musicisti illustri con il titolo Brat And It’s Completely Different But Also Still Brat.
Dai Cure a Beyoncé
Un ritorno celebrato da tutti, non solo dai nostalgici del rock d’antan, è stato quello dei Cure. La band britannica era attesa a una nuova fatica dal 2008 e Songs Of A Lost World non fa rimpiangere nulla dei vecchi anthem. Un rock maestoso e pulsante, che non si vuole aggiornare essendo sempre perfettamente al passo con l’attualità. Poderose introduzioni strumentali precedono la voce disperata di Robert Smith, che urla la fine dell’amore, della musica, dell’esistenza, sopra marce maestose, dettate da ritmi muscolari, chitarre che si impennano e tastiere riverberanti.
Un’altra top player che è piaciuta a tutti è Beyoncé, con il suo secondo capitolo di “revisione” della musica country intitolato Cowboy Carter. Rivendicando le origini nere del genere, ne ha praticamente ridisegnato i confini con canzoni che coniugano difficoltà, ambizione e innovazione a livelli che un po’ tutti guardano dal basso. Un albo quasi anti-pop per il gusto della sfida, per l’istinto dell’esplorare, per la varietà degli stili combinati. E il tutto suona, suona, suona…
Da Arooj Aftab a Kim Gordon
Magnifico capolavoro di world music è il Night Reign della pakistana Arooj Aftab, che apre la musica di tradizione popolare del suo Paese e le influenze nei testi della poesia sufi e di quella islamica ghazal a un universo sonoro senza tempo. Dalla musica classica indostana (del nord dell’India) al jazz contemporaneo, dalle distensioni new age al post rock graffiante, dal minimalismo elettronico al pop puro e semplice.
Ci piace chiudere questa veloce carrellata con il formidabile lavoro di un’ultrasettantenne, la musicalmente inafferrabile ex-bassista dei Sonic Youth Kim Gordon. Il suo The Collective, secondo album da solista dopo una vita fitta fitta di arte a 360 gradi, è un pugno nello stomaco di chi si accontenta della propria comfort zone. Un rock scorticato e viscerale, con frasi sonore che graffiano e pulsioni angosciose, distorsioni al limite e beat sporchi, mentre il canto dipinge con lucida acidità e rabbia la società che ci circonda in una sorta di rap decadente e nebbioso.
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