Dovremmo immergerci di più nelle storie degli altri, per capire che la realtà, che crediamo oggettiva, non è altro che un nostro punto di vista, basato sulla sensibilità e predisposizione personale.
All’inizio del secolo scorso, il biologo Jakob von Uexküll ebbe un’intuizione rivoluzionaria. Fino a quel momento gli studiosi interpretavano il mondo animale come una dimensione monolitica in contrapposizione alla varietà dell’esperienza umana. Uexküll chiarì invece che per ogni animale, anche all’interno dello stesso ecosistema, il mondo appare drasticamente diverso da quello di ogni altra specie. Per la zecca, che non vede, non sente e non ha il senso del gusto, la realtà si riduce a tre elementi: l’odore dei mammiferi a cui si aggrappa, il calore dei loro corpi e la pelle che percepisce al tatto. Questo è il suo Umwelt, il suo universo soggettivo, il mondo in cui abita. È fatto di odori e percezioni tattili. Verrebbe da dire che è un mondo buio: se non fosse che la zecca non possiede la vista, e quindi non può percepire – non può immaginare – l’oscurità.
Alcune specie di pesci comunicano, si orientano e trovano le prede tramite la loro sensibilità ai campi elettrici, mentre elefanti e pipistrelli emettono suoni non udibili all’orecchio umano. Per questi animali, la realtà è allo stesso tempo più estesa e più limitata di quella degli esseri umani. La percezione che hanno dello spazio, del tempo e dell’ambiente circostante è strettamente legata alle caratteristiche della specie a cui appartengono. Così, un filo d’erba appare totalmente diverso alla formica e alla mucca che bruca nel prato. Anche animali che convivono in uno stesso spazio fisico lo vedono in una forma differente, e questa forma è per loro l’unica possibile. Non esiste un mondo unico, oggettivo: ci sono solo mondi individuali.
Senza voler forzare troppo la metafora, il concetto di Umwelt ci può aiutare a districarci un po’ di più anche nelle interazioni umane. Tendiamo a credere che ciò che noi riusciamo a percepire grazie ai nostri sensi e alla nostra esperienza, sia la realtà oggettiva. Non solo: i neuroscienziati sono sempre più convinti che i nostri cervelli funzionino come macchine predittive. Crediamo di esprimere giudizi in base alle nostre percezioni, ma ciò che accade è spesso il contrario. Il nostro cervello fa delle previsioni su cosa aspettarsi dagli eventi della nostra vita, influenzando il modo stesso in cui percepiamo la realtà. Se pensiamo che gli invitati a una festa ci stiano tutti giudicando, vedremo più vividamente le espressioni negative delle persone con cui interagiamo. È difficile farci cambiare idea, perché siamo più propensi a trovare convincenti tesi e dati a favore delle nostre convinzioni, e a scartare (senza neanche accorgercene) ciò che non rientra nella nostra teoria di partenza. In un certo senso, passiamo il tempo a cercare prove che confermino la nostra idea di mondo.
In un presente sempre più polarizzato, in cui ci sembra di non andare d’accordo su nulla, l’idea che siamo tutti inchiodati alle nostre realtà individuali è una prospettiva preoccupante. Realtà che sono influenzate, per gli esseri umani, non solo dai nostri sensi, ma dalla nostra esperienza passata, dal nostro contesto, dalle parole che usiamo per descrivere noi stessi e gli altri, dalle persone che abbiamo intorno.
Il concetto di Umwelt può aiutarci a mettere in dubbio le nostre certezze, a ricordarci che il nostro è un punto di vista, non l’unica realtà oggettiva. Per scongiurare questo rischio, gli esseri umani hanno un potente strumento a loro disposizione, a differenza degli animali: la possibilità di raccontare e ascoltare storie. Le storie ci permettono di esercitare quella che la filosofa Martha Nussbaum chiama “immaginazione narrativa”: la capacità di mettersi nei panni di chi è diverso da noi, di comprenderne le emozioni, i desideri e i bisogni. In questo senso l’immaginazione narrativa è una dote etica: solo aprendoci alla possibilità che la nostra non sia l’unica realtà, abbiamo l’opportunità di empatizzare con persone totalmente diverse da noi. È in questo senso anche una virtù essenziale dell’essere cittadini: considerando esperienze oltre la nostra, siamo capaci di immaginarci parte di una comunità di persone distanti e allo stesso tempo profondamente simili tra loro.
Le buone storie ci permettono di uscire dai limiti della nostra esperienza quotidiana e di tracciare nuove strade. Non possiamo sapere come ci si sente a essere una zecca, una formica o un pipistrello. O una persona che non ci assomiglia affatto. Ma una buona storia può aiutarci a uscire dai sentieri battuti dall’abitudine, a immedesimarci in ciò che non siamo. Nel suo libro, tradotto in italiano con lo splendido titolo I mondi invisibili, Uexküll scrive: «Tanti quanti sono gli animali, altrettanti sono i mondi individuali diversi, in cui il naturalista può scoprire nuovi orizzonti di studio, talmente ricchi e attraenti che esplorarli rappresenta un vero godimento intellettuale». Ci ricorda che visioni diverse non sono un confine invalicabile tra noi e gli altri, ma un orizzonte sconfinato di possibilità.
Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) ha scritto racconti, romanzi e saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Il suo romanzo più recente è La disciplina di Penelope.
Giorgia Carofiglio (Monopoli, 1995) si è laureata in Teoria Politica presso la University College London. Ha lavorato in un’agenzia letteraria e collabora con case editrici.
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