In Italia ogni cittadino può esercitare il diritto all’assistenza sanitaria anche in altre regioni diverse da quella di residenza. Il fenomeno è noto come mobilità sanitaria fra Regioni, che può essere attiva o passiva, a seconda che la regione sia meta di pazienti in cerca di cure o punto di partenza per cercare altrove un servizio sanitario.
La Fondazione Gimbe ha recentemente pubblicato il rapporto 2020 “La mobilità sanitaria interregionale” e ha fornito un quadro della situazione. Nell’anno considerato, anche a causa dello scoppio della pandemia, il valore della mobilità sanitaria ammontava a 3.330,47 milioni di euro, una cifra nettamente inferiore al periodo precedente. Considerando il decennio 2010-2020, ci sono state variazioni minime fino al 2014 e poi un netto incremento dal 2014 al 2016.
La mobilità sanitaria attiva
Le sei Regioni con maggiore capacità di attrarre pazienti da altre vantano crediti superiori a 150 milioni di euro. In testa c’è la Lombardia (20,2%), seguita da Emilia Romagna (16,5%), Veneto (12,7%) che insieme includono complessivamente quasi la metà della mobilità attiva totale. Al quarto posto c’è il Lazio con l’8,4%, il Piemonte con 6,9% e la Toscana con il 5,4%. Il restante 29,9% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 14 Regioni e Province autonome. Il primo dato complessivo che si rileva è lo squilibrio fra Nord e Sud, dove la capacità del Mezzogiorno è nettamente limitata.
La mobilità sanitaria passiva
La mobilità passiva, che identifica le prestazioni erogate ai cittadini al di fuori della Regione di residenza, si indica anche come “indice di fuga”. In termini economici identifica i debiti di ciascuna regione in fatto di servizi sanitari. Le tre Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre 300 milioni di euro: al primo posto c’è il Lazio con il 13,8%, al secondo la Lombardia con il 10,9% e al terzo la Campania con il 10,2%. Insieme compongono oltre un terzo della mobilità passiva, mentre il restante 65,1% si distribuisce nelle restanti 17 Regioni e Province autonome. I numeri della mobilità passiva, sottolinea il Rapporto, documentano differenze più sfumate fra Nord e Sud, perché si registrano comunque rilevanti indici di fuga anche nelle regioni settentrionali con elevata mobilità attiva. Il che significa che i cittadini preferiscono spostarsi per servizi specifici di elevata qualità anche fra Regioni del Nord.
Saldo positivo e negativo per le Regioni
Il calcolo delle mobilità attiva e passiva hanno permesso di classificare ogni Regione secondo sei categorie: quelle con il bilancio positivo si trovano tutte al Nord, mentre quelle con saldo negativo rilevante sono tutte al Centro e al Sud. Il bilancio è stato definito positivo rilevante (oltre 100 milioni di euro), positivo moderato (fra 25,1 e 100 milioni di euro), positivo minimo (da 0,1 a 25 milioni di euro), negativo minimo (da – 0,1 a -25 milioni di euro), negativo moderato (da -25,1 a -100 milioni di euro), negativo rilevante (oltre -100 milioni).
Quali sono le prestazioni erogate in mobilità?
Il 69,6% del valore totale della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari e in day hospital, mentre il 16,2% le prestazioni specialistiche ambulatoriali. Il 9,3% è relativo alla somministrazione diretta di farmaci. Il restante 4,9% include la farmaceutica, i trasporti con elisoccorso e ambulanza, la medicina generale e le cure termali.
L’impatto delle strutture private
Analizzando le prestazioni di ricovero e day hospital e quelle di specialistica ambulatoriale, le strutture private sono quelle che erogano oltre la metà del valore della mobilità attiva (52,6% rispetto al 47,4% delle strutture pubbliche). Il Molise è al primo posto per il peso delle erogazioni effettuate da strutture private accreditate con l’87,2% del totale, seguito dalla Puglia con il 71,5%, dalla Lombardia con il 69,2% e dal Lazio con il 62,6%. Le Regioni dove invece i privati hanno un peso inferiore al 20% sono Umbria (15,2%), Sardegna (14,5%), Valle D’Aosta (11,5%), Liguria (9,9%), Basilicata (8,1%) e la Provincia autonoma di Bolzano (3,4%).
L’impatto economico sul paziente della mobilità sanitaria fra Regioni
La valutazione dell’impatto economico della mobilità sanitaria fra Regioni non permette di quantificare, come sottolinea la Fondazione Gimbe a chiusura del Rapporto, i costi sostenuti da pazienti e familiari per gli spostamenti. Secondo una ricerca condotta su circa 4mila cittadini italiani, nel 43% dei casi chi si sposta dalla propria regione spende in media fra i 200 e i 1.000 euro e fra i 1.000 e i 5.000 euro nel 27% dei casi. A queste cifre bisogna poi aggiungere i costi indiretti, come le assenze dal lavoro e i permessi.
© Riproduzione riservata