La festa che tutte le altre porta via ha una storia antichissima, connessa al ritmo delle stagioni e ai riti di fertilità del mondo pagano.
L’Epifania è una festa cristiana che ricorda l’incontro dei Magi con Gesù appena nato e giunge, secondo il calendario gregoriano, 12 giorni dopo Natale, sancendo di fatto la fine dell’inverno. Nella liturgia rappresenta il momento in cui Dio, nel Bambino Gesù, si manifesta ai popoli (la parola stessa epifania in greco significa apparizione) rappresentati dai tre misteriosi sapienti venuti dall’Oriente. Anche i loro doni sono ricchi di significato: la mirra allude alla Passione di Cristo, l’oro alla regalità e l’incenso alla divinità. Di queste misteriose figure peraltro si racconta solo nel Vangelo di Matteo, che si limita a riportare che “giunsero da Oriente”, senza specificare né il numero né il colore della pelle né tantomeno il nome. Solo nel corso dei secoli la loro identificazione è stata arricchita da una lunga e variegata tradizione giunta ai giorni nostri. E cosa c’entra allora la Befana con il giorno dei Magi? Sicuramente molto, a cominciare dal nome, una evidente storpiatura della parola epifania.
La leggenda della Befana
Un’antica leggenda, diffusa nel Basso Medioevo, racconta che i Magi, non trovando la strada per Betlemme, si rivolsero ad una vecchina per chiedere lumi. Lei diede le giuste indicazioni ma si rifiutò di accompagnarli a far visita al Bambino. Pentitasi poi del suo comportamento, preparò in fretta un cesto di dolciumi per raggiungerli, senza però trovare più né loro né Gesù. A quel punto decise di lasciare i doni a tutti i piccoli incontrati lungo la strada, nella speranza che uno di loro fosse il Figlio di Dio. E così continua a fare ancora oggi. Il racconto, nato nel XII secolo, aveva una grande valenza per la Chiesa di allora: conciliava, infatti, la figura femminile volante e i riti della rinascita delle culture precristiane con la nuova fede. Ma dove nasce esattamente l’immagine della Befana?
La festa del “Sol Invictus” e il culto della rinascita
A questo punto è necessaria una premessa: nei giorni intorno al solstizio d’inverno (21 dicembre), il Sole sembra precipitare nell’oscurità per poi tornare a mostrarsi più forte e vitale dai giorni successivi in poi. Un momento delicato per la sopravvivenza delle comunità arcaiche, dipendenti in tutto dalla buona riuscita dei raccolti: cosa sarebbe accaduto se il Sole non fosse risorto? Ecco perché gli antichi romani il 25 dicembre celebravano la festa del “Sol Invictus”, considerata dagli storici l’origine “pagana” del Natale. Il culto, che veniva dalla Persia ed era legato a Mitra, attraverso riti e sacrifici restituiva forza al Sole per assicurarne la rinascita.
La dodicesima notte
Ma i Romani credevano anche che nelle dodici notti successive al solstizio d’inverno alcune figure femminili – la dea Diana e le sue ancelle – volassero sui campi appena seminati per propiziare la fertilità dei futuri raccolti (una credenza peraltro sopravvissuta per secoli all’avvento del Cristianesimo). Il rimando è ancora presente in Gran Bretagna, dove si festeggia la notte tra il 5 e il 6 gennaio (la dodicesima notte dopo il Natale, che dà il titolo alla celebre commedia di Shakespeare), culmine delle celebrazioni invernali, anticamente caratterizzata dal capovolgimento della realtà come gli antichi Saturnalia. Un’altra ipotesi collega la Befana con l’antica festa romana del primo dell’anno in onore di Giano – ecco spiegato il nome gennaio – e Strenia (da cui deriva il termine strenna), durante la quale si scambiavano doni.
La Befana, un esempio di sincretismo
Nel Nord e nel Centro Europa la Befana richiama la figura celtica di Perchta, della scandinava Frigg, di Holda in Nord Europa, di Bertha in Gran Bretagna e Berchta nelle tradizioni alpine pre-cristiane. Divinità protettrici degli animali e dei campi, raffigurate come un’anziana signora, personificazione della spoglia natura invernale: una vecchia gobba dai piedi enormi, col naso adunco e capelli bianchi spettinati, vestita di stracci che, volando sui campi di notte, ne propizia la fertilità. La cristianizzazione di queste antiche divinità, inglobate e assimilate alla nuova religione, rappresenta dunque un chiaro esempio di sincretismo che peraltro ritroviamo anche in un altro aspetto. Il carbone lasciato nelle calze dei bambini “cattivi”, infatti, altro non è che il ricordo della cenere lasciata dai falò, antichi simboli di purificazione, accesi per scacciare l’anno vecchio con il suo carico di negatività. Un altro simbolo ancestrale legato alla simbologia del rinnovamento.
Dolce vecchina o strega?
Complici le contaminazioni con la festa di Halloween, ultimamente la Befana viene rappresentata a cavallo di una scopa, con stivali e cappello a punta nero: la classica immagine delle streghe. Però le differenze sono molte: la nostra vecchina vola su una scopa come loro, ma la cavalca al contrario. Sul capo porta un fazzoletto annodato sotto al mento. La calza dei doni non è altro che un vecchio sacco di iuta che allungato sembra un calzettone.
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