Il genio lombardo, innamorato del vero e della luce, è stato una figura complessa e contraddittoria. Iracondo, eccentrico, eretico, omosessuale, schiavo della passione per le donne, ebbe una vita travagliata segnata dal delitto, dalla fuga disperata e da un perdono giunto troppo tardi
Michelangelo Merisi, noto come Caravaggio, nasce a Milano nel 1571. Nel 1577, la famiglia si trasferisce a Caravaggio, in provincia di Bergamo, per sfuggire alla peste, che però lo lascia orfano di padre. La madre, con i quattro figli, torna quindi a Milano, dove il giovane Michelangelo inizia il suo apprendistato presso un pittore locale. Grazie all’amicizia del nonno con Costanza Colonna, marchesa di Caravaggio, nel 1592 si trasferisce a Roma, andando a vivere da Pandolfo Pucci, un beneficiario di San Pietro, da lui soprannominato “monsignor insalata” per il misero vitto che gli veniva offerto. Stanco del trattamento ricevuto, Caravaggio trova ospitalità in un’osteria e inizia a lavorare in diverse botteghe, realizzando le sue prime opere, nelle quali si manifesta già il rifiuto per la bellezza idealizzata tipica del Rinascimento e la predilezione per il realismo e il naturalismo, utilizzando come modelli ragazzi e ragazze di strada.
La sua vita subisce una svolta decisiva quando viene accolto a Palazzo Madama dal cardinale Francesco Maria Del Monte, uomo di grande cultura e mecenate, nonché ambasciatore dei Medici a Roma. Il cardinale non solo gli offre alloggio e protezione, ma gli garantisce anche uno stipendio mensile, permettendogli di dedicarsi interamente alla pittura. Questo incontro segna l’inizio di un periodo particolarmente fecondo per l’artista, che si inserisce in un ambiente intellettuale stimolante, venendo a contatto con importanti personalità romane. In questi anni, Caravaggio realizza per Del Monte alcune delle opere più significative, tra cui Bacco, Santa Caterina d’Alessandria e Ragazzo morso da un ramarro, il cui protagonista effeminato più che alla presunta omosessualità di Caravaggio si riconduce all’ambiente dei festini organizzati a Palazzo Madama per il cardinale suo committente.
Grazie al sostegno di quest’ultimo, ottiene anche importanti commissioni pubbliche, come la decorazione della Cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi, dove realizza le tre tele dedicate alla vita di San Matteo. Nel 1592 Michelangelo va ad abitare nel rione Campo Marzio, dove, circondato da amici iracondi ed eccentrici, si vanta della sua abilità con la spada e, nonostante la fama che sta rapidamente conquistando, partecipa a risse e duelli. Le strade della Città Eterna, strette e sporche, animate da bordelli e taverne, esercitano su di lui un’attrazione fatale. Violenze e scontri tra fazioni filospagnole e filofrancesi sono all’ordine del giorno e mettere mano alla spada è un vizio comune. Giovani garzoni e cortigiane riempiono prima le sue fantasie e poi le sue tele.
La bellissima Fillide Melandroni lavora sotto la protezione di Ranuccio Tomassoni, capo di una banda che gestisce loschi traffici nel rione. Lui ne resta colpito, forse se ne innamora, e la ritrae in quattro dei suoi dipinti.
Accanto a lei Lena, Maddalena Antonietti, tra le più note prostitute romane. Suo è il volto della Madonna dei Pellegrini e della Madonna dei Palafrenieri. Lo scandalo, nella Roma della Controriforma, è enorme. Come quando l’umile Annuccia (Anna Bianchini) presta il suo corpo alla Madonna nel Riposo nella “Fuga in Egitto”. Circola anche voce che, per dipingere la Morte della Vergine – commissionatagli per una cappella mortuaria nella chiesa di Santa Maria della Scala – abbia usato come modella una donna annegata nel Tevere con la pancia gonfia, i piedi nudi e il corpo grigiastro. La tela, considerata indecorosa, gli viene restituita senza compenso. Sono ancora gli anni in cui è all’apice della carriera, ma la fama si accompagna a nuove difficoltà.
All’inizio del 1604 è denunciato per aver lanciato un piatto di carciofi contro un oste in una taverna. In ottobre è arrestato per un lancio di pietre contro le guardie e, in novembre, di nuovo per ingiurie, anche se gli studiosi oggi mettono in dubbio la fondatezza di molte di queste accuse. In ogni caso, l’influenza del cardinale Del Monte gli permette per ora di evitare conseguenze gravi.
Nel 1605, con l’elezione a papa di Paolo V la fortuna inizia a girare. La nuova corte pontificia gli preferisce lo stile classico ed elegante di Guido Reni e il suo umore peggiora. A luglio è di nuovo arrestato per ‘questioni di donne’. Poco dopo aggredisce un notaio per via di una sua modella che ne era l’amante. La serie di denunce culmina a maggio del 1606, quando si scontra in duello con Ranuccio Tomassoni per motivi ancora discussi dagli storici. Forse per una donna – magari Fillide -, per questioni politiche – lui era filofrancese e Tomassoni filospagnolo -, per debiti o per una disputa di gioco. Sempre pronto a difendere il suo onore con la stessa veemenza con cui dipingeva i suoi capolavori, Caravaggio ferisce a morte il suo rivale, forse involontariamente, ed è costretto a una fuga disperata per sfuggire alla condanna a morte per decapitazione in contumacia. Di questo periodo è il suo drammatico autoritratto impresso nella testa mozza impugnata da un vittorioso ma malinconico Davide.
Cerca rifugio lontano dalla giurisdizione pontificia, prima a Napoli poi a Malta, dove arriva nel luglio del 1607. Qui dipinge il ritratto del Gran Maestro dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni, che lo ricompensa con la Croce dell’Ordine, garanzia di immunità anche a Roma. Tuttavia, cedendo al suo temperamento irascibile, sguaina la spada contro un confratello, violando le regole dell’Ordine. Dopo aver così perso l’abito, fugge a Siracusa, ma la sua mente inizia a vacillare: dorme con un pugnale, temendo la giustizia romana e maltese. Si sposta di nuovo da Messina a Palermo, per sfuggire all’accusa di omosessualità. Nell’ottobre del 1609 torna a Napoli, ospite della marchesa Costanza Colonna, sua protettrice, dove riceve notizia del perdono papale.
Nel luglio del 1610 si imbarca su una feluca diretta a Porto Ercole, con uno scalo imprevisto a Palo di Ladispoli dove, presso la famiglia Orsini – suoi vecchi amici – spera probabilmente di attendere in sicurezza l’ufficialità della grazia. Qui però è fermato per accertamenti, mentre la nave prosegue la rotta, con i suoi effetti personali a bordo, incluse tre tele destinate al cardinale Scipione Borghese in cambio della libertà. Per recuperarli Caravaggio raggiunge Porto Ercole via mare, probabilmente grazie a un’imbarcazione offerta dagli Orsini. Lì giunto, stremato e malato, è ricoverato nel sanatorio Santa Maria Ausiliatrice, dove muore di ‘febbre maligna’ il 18 luglio 1610, a 38 anni.
Questa almeno è la versione riportata dal suo primo biografo e rivale, Giovanni Baglione, ma molti aspetti del decesso rimangono misteriosi in mancanza di documenti certi. La data e il luogo ufficiali si ricavano da un epitaffio del poeta Marzio Milesi che lo chiama “esimio emulatore della natura”. Si parla di febbre malarica, ma – da un’analisi su alcune ossa a lui attribuite – nel 2010 si fa strada l’idea di un avvelenamento da piombo e arsenico, contenuti nei colori. Non manca nella sua fine rocambolesca il tocco di giallo: nel 2012 due studiosi, Vincenzo Pacelli e Tomaso Montanari, ipotizzano un assassinio avvenuto proprio durante la sosta a Palo Laziale ad opera di emissari dei Cavalieri di Malta, per vendicare l’offesa arrecata al loro confratello, e architettato con il tacito assenso della Curia romana.
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