«Da quassù è un unico colpo d’occhio. Là, la piana di Torino. Più giù, con le montagne, ecco la Valle d’Aosta. E se ci penso, le vedo ancora le bombe sulla città e quelle sulla ferrovia, sopra Chivasso. Da Castagneto Po, su questa altura, lo sguardo è aperto e tutto intorno ci sono solo campi, cascine e fienili. Se non fosse per gli aerei in continuo sorvolo, la vita sembrerebbe scorrere come prima della guerra.
Mi chiamo Teresa Borca, ho quindici anni, vivo con la mia famiglia e lavoro nei campi. Tutti, qui intorno, hanno animali: mucche, pecore, vitelli, polli e conigli. E il frumento non manca mai. Piantiamo più piselli, quello sì, perché un po’ li conserviamo e un po’ li vendiamo: serve a racimolare qualche spicciolo. Proprio per via dei campi, qua fortunatamente non facciamo la fame. La miseria, però, è tanta. Come e più di prima.
Non ho mai avuto un cappotto nuovo e le scarpe sono zoccoli rimediati inchiodando cinghie su pezzi di legno. Fanno male ai piedi per quanto sono dure ma a me sembra già tanto: mica tutti le hanno. Questo 25 Aprile mi sorprende nell’attesa della notizia che aspettiamo da tempo: che la guerra sia finita. E la notizia arriva: «I partigiani hanno liberato Torino. Sono giù in città coi camion e i carri armati». Qui in borgata si sparge presto la voce: sono i partigiani stessi ad annunciarla.
Così, quassù, si scatena la corsa dei ragazzini, spediti da un podere all’altro per dire ai vicini che la guerra è finita! Siamo felici e storditi: chi più chi meno, ce la siamo tutti vista brutta. È passato appena un mese: ero da una famiglia poco distante a portare del latte quando tornando a casa ho visto la nostra cascina con dietro tre mitragliatrici. Gli uomini di Salò erano ovunque, tutto intorno, coi cani. Per lo spavento, corro in casa e ci trovo il fidanzato di mia sorella: è un partigiano, lo stanno cercando. Mio padre, non sapendo dove nasconderlo, lo spinge giù in cantina e lo chiude dentro una botte di vino vuota. Così, quando quelli della Repubblica Sociale fanno irruzione trovano in casa solo me e la mia famiglia. Nessuno di loro scende in cantina, ma hanno ricevuto una soffiata: sanno che lo stiamo nascondendo.
È allora che ci portano tutti nel cortile, ci mettono in fila coi mitra spianati addosso. Neghiamo di averlo visto, ci vogliono ammazzare ma alle fine se ne vanno lasciandoci liberi. Non era avvenuto lo stesso nella notte che ricordo con più orrore quando i nazisti entrarono in una cascina poco distante e presero a far fuoco: due giovani partigiani rimasero uccisi. Ma non c’era via di scampo: in cinquecento i tedeschi si sparsero per le campagne. Non li avrebbero mai lasciati vivi. Le stesse campagne in cui, a Castagneto, hanno depredato i contadini di ogni bene uccidendo mucche e vitellini allo scopo di mangiarseli. Andavano nelle stalle, se li prendevano e noi non potevamo che restare lì a guardare.
E se qua hanno portato via le bestie, da Torino ci raccontano che sono partiti treni pieni di quadri e opere d’arte. Ciò che invece proprio non sappiamo è che fine abbiano fatto le famiglie ebree che vivevano in borgata. Sono scomparse da un giorno all’altro e tutti qua ci chiediamo se siano stati portati in Germania. Qui a Castagneto Po, di certo, non sono più tornati.
La guerra è finita, la miseria no. Ma siamo abituati. Da bambina la mamma mi dava quattro centesimi per prendere un panettino e fare colazione. Lo mangiavo “spuro”: pane e basta, senza niente dentro. E ci vorranno anni e ore e ore nei campi per ritrovare un minimo di benessere. Ma, almeno, la guerra è finita».
25 aprile 2020 – Teresa Borca vive ancora a Castagneto Po (To). Oggi ha 90 anni
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