«Le truppe alleate giungono a Cento (Fe) prima del 25 aprile. I soldati inglesi fanno ingresso in città che è il 23. La mia famiglia ed io siamo chiusi in casa aspettando di capire – come tutti i centesi – cosa stia accadendo.
Mi chiamo Alberto Alberti, classe 1924. Ho 21 anni e sono iscritto a Medicina.
I tedeschi in fuga
Dal 20 al 22 aprile, nella periferia del paese – là dove si trova la mia casa -, vediamo sfilare gli ultimi resti dell’esercito tedesco. Scappano da sud verso nord, con l’obiettivo di superare il Po. Per due giorni e una notte sentiamo i loro comandi militari insegnare all’esercito in fuga la strada da prendere per raggiungere Ferrara. I primi passano con autoblindati e qualche carro armato. Poi, mano mano che arrivano le ultime truppe, scorgiamo dalle finestre soldati in bicicletta o su carretti trainati da un cavallo. In tutti noi, c’è paura e attesa. Paura che i tedeschi, prima di scappare verso Ferrara, incendino il paese come hanno fatto altrove.
La notizia che la guerra è finita
È la mattina del giorno 23, una mattina di sole: non c’è nessuno lungo le strade. Il silenzio è enorme, dopo le notti di bufera col passaggio dell’esercito. Il tempo è sospeso. Di casa in casa, inizia a circolare la voce che su, al castello medievale, ci sono soldati in divisa. Hanno il viso scuro – sono indiani e neozelandesi -; arrivano a bordo di Jeep. Il problema è che non si capisce una parola di ciò che dicono, ma distribuiscono cioccolata ai bambini.
L’interprete
Così, in paese, si cerca l’unico che sia in grado di tradurre. Il suo nome è Odoardo Salvi ed essendo emigrato a lungo in America riesce a capire la loro lingua. Perciò, col passare dei giorni, comprendiamo veramente che la guerra è finita. Ma le prime parole intese – e che sono già di giubilo – sono: «I primi soldati alleati sono arrivati alla rocca».
L’umore della gente
C’è gioia e soddisfazione tra la gente, ma una gioia composta e contenuta. Niente grida. La voglia di ripartire e lasciarsi alle spalle il conflitto c’è per tutti anche se, da queste parti, tutto sommato, i bombardamenti sono stati pochi e fortunatamente di deportazioni non ce n’è stata alcuna. Io personalmente, durante la guerra, sono stato arruolato nella Todt: l’impresa di costruzioni che ha operato dapprima nella Germania nazista e poi in tutti i paesi occupati dalla Wehrmacht impiegando al lavoro coatto più di un milione e mezzo di uomini e ragazzi. Ci mandavano a costruire ponti sui fiumi che aprissero la via all’esercito tedesco. Ci riservavano un trattamento modesto e spesso rude ma nessuno con lo scudiscio a imporci tempi di lavoro.
La ripartenza
All’indomani della Liberazione, vengono arrestati alcuni soggetti di Cento che, in modo sprovveduto, si sono arruolati con la Repubblica di Salò vestendo la divisa fascista. Persone di mezza età che vengono caricate su un furgoncino aperto e fatte girare lungo le strade della città tra le risa della gente. Niente vendette, almeno qui, ma una smania cauta di ripartire. È così che, dopo parecchi mesi, riallaccio i rapporti con l’università: a Bologna. Sono tra i fortunati che hanno potuto conservare una bicicletta – la ferrovia è distrutta; il treno, saltato, e di corriere nemmeno l’ombra. Con un collega di studi pedaliamo così 60 chilometri tre volte la settimana per raggiungere l’ateneo: c’è da riprendere gli studi e una laurea da guadagnare».
25 aprile 2020 – Alberto Alberti vive a Cento (FE). Oggi ha 90 anni
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