Arturo Mercadante.
Nato a Napoli, si trasferisce a Roma in età giovanissima e intraprende la carriera bancaria e parabancaria raggiungendo la pensione con il grado di direttore dirigente. Da anni si diletta a scrivere racconti e poesie. Partecipa al Concorso 50&Più per la terza volta; nel 2017 ha vinto la Farfalla d’oro per la poesia e nel 2018 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la Prosa e la Fotografia. Vive a Bracciano (Rm).
All’uscita da un saggio di recitazione del mio scatenato nipotino, ho sentito una mamma che diceva ad una amica ritardataria, che le chiedeva notizie sulla recita: “Non ho visto granché perché ero impegnata a riprendere tutto con il mio cellulare. Ho già dato comunque un’occhiata al display e, nonostante la carenza di luce, le immagini sembrano essere perfette. No… anche mio marito credo che non ne sappia nulla… Sì… era presente al saggio, ma avrà scattato qualche centinaia di fotografie e quindi in diretta non ha visto molto…”.
In diretta! Che vuol dire?! Oggi si presenzia per riprendere, si viaggia per fotografare, si rinuncia a tutte quelle emozioni, più o meno intense, che sicuramente ti darebbero uno spettacolo… un tramonto… perché sei sempre dietro a quel nuovo occhio che filtra e ti impegna. Perché tutto deve essere perfetto quando, tornato a casa, rivedrai in forma virtuale quello che non ti sei goduto in tempo reale. E’ dirai: “Guarda Pierino come è venuto bene! Però, che cannonata questo obiettivo! Ho fatto bene a cambiare la vecchia telecamera…”.
Perché oggi per molti, fortunatamente non per tutti, è una rincorsa affannosa e costosa dietro i progressi dell’elettronica, sempre più veloci e sbalorditivi.
Oggi con un cellulare fai del cinema, vedi la televisione,ti colleghi ad internet, scrivi, leggi, effettui pagamenti, partecipi a concorsi, scommetti sulle corse dei cavalli, mentre le stai vedendo in diretta, senti la musica, vai a teatro, prenoti un taxi o un ristorante e… qualche volta telefoni pure.
Ho visto, e dovete credermi, persone che, pur stando una di fronte all’altra, si parlavano e si vedevano attraverso il video dei loro rispettivi cellulari.
Sembra lontanissimo e sfocato il tempo in cui, dopo una bella gita durante la quale avevi scattato ben 24 fotografie in bianco e nero su pellicola “Ilford”, attendevi i canonici quattro giorni per lo sviluppo e la stampa.
Come saranno venute? Ho tagliato qualche testa? Avrò azzeccato la distanza e l’apertura dell’obiettivo? E la velocità di esposizione?!
E quando andavi a ritirare le foto dal tuo solito e insostituibile negoziante, già dal viso con cui ti accoglieva, ti rendevi conto se erano venute bene o male.
E le commentavamo insieme: “Questa è sfocata; qui hai fatto prendere troppa luce; questa invece è veramente buona!”. E bastava che una sulle 24 scattate fosse perfettamente riuscita per farti inorgoglire e per farti riflettere sugli errori commessi nel fare le altre 23.
Oggi è tutto perfetto, è tutto automatico: esposizione, apertura dell’obiettivo, distanza.
Devi solo premere un bottone.
“E’ il progresso!”, mi direte. Ma siamo veramente progrediti???