La scienziata canadese Suzanne Simard ha dedicato la sua carriera allo studio delle foreste. Quando camminiamo tra i sentieri di un bosco, di solito i nostri sguardi sono rivolti verso l’alto, alle chiome degli alberi, o in avanti, al susseguirsi di tronchi, rami caduti, tracce di animali selvatici. Simard, che da piccola visitava le enormi foreste canadesi con i suoi fratelli, ha invece passato decenni a portare alla luce quello che succede nel sottosuolo delle foreste. Sotto le distese di alberi si estende una rete sterminata di radici e funghi. Queste ramificazioni collegano le radici di alberi anche lontani tra loro: funghi e alberi creano un’alleanza sotterranea che permette loro di comunicare e collaborare. Attraverso segnali trasmessi dai funghi, gli alberi possono avvertire i propri vicini in caso di pericolo (come, per esempio, l’arrivo di un parassita, cui occorre reagire con la produzione di sostanze chimiche) e passare sostanze nutrienti a piante più giovani, fragili o meno esposte al sole. Sono scambi che non avvengono solo tra individui della stessa specie, ma anche tra specie diverse e perciò tradizionalmente considerate rivali.
Perché funghi e alberi si comportino in questo modo, collaborando tra di loro, rimane un mistero. Quello che sappiamo è che una foresta ha un’organizzazione molto più complessa di quanto immaginiamo. Alberi, muschi, funghi e batteri sono interdipendenti tra loro e formano strutture che sono molto più della somma delle loro parti: per questa ragione, alcuni scienziati chiamano le foreste “superorganismi”.
Scoprire che le foreste sono sistemi tanto articolati ci mette di fronte a domande importanti sul rapporto tra uomo e natura, sulle caratteristiche che pensiamo essere solamente umane – o al massimo condivise con poche specie di mammiferi – tra cui la comunicazione e la cooperazione. Non sono solo le foreste a mettere in crisi la nostra arrogante concezione dell’uomo come l’unico essere dotato di certi tipi di intelligenza. Negli ultimi decenni, numerosi studi hanno indagato le insospettabili qualità di animali tradizionalmente considerati inferiori. A cominciare dai polpi, che sono capaci di evadere dagli acquari, di usare pietre e conchiglie come strumenti, di distinguere creature al di fuori della loro specie, anche esseri umani. O i corvi, che sanno risolvere problemi complessi, individuare volti conosciuti anche dopo anni, usare rametti per recuperare cibi difficili da raggiungere.
Generalmente, tendiamo a credere che ci sia una separazione netta tra uomo e natura: l’uomo è dotato di intenzionalità e si organizza in strutture sociali evolute, mentre la natura è una risorsa controllata dall’uomo, da gestire, tenere a bada, sfruttare in maniera efficiente. Scoprire che la realtà è molto più sfaccettata di così ci costringe allo stupore e dunque a considerare le cose da una prospettiva nuova. È in quello spazio che nasce la possibilità di una visione alternativa. In tempi di crisi ambientale, è necessario trovare, oltre a soluzioni con un solido fondamento scientifico, un modo diverso di vedere il rapporto tra noi e il mondo. Un rapporto che non sia nostalgico, che non rifiuti la modernità, ma sappia ridisegnare i confini troppo netti e artificiosi tra l’umano e il naturale.
Uno dei modi che abbiamo per cambiare punto di vista è apprezzare la varietà e complessità dei sistemi non umani e cercare soluzioni che tengano conto degli equilibri naturali. Piantare nuovi alberi è spesso considerato uno strumento importante per la lotta al cambiamento climatico. Gli alberi infatti sono capaci di assorbire anidride carbonica dall’atmosfera e di immagazzinarla nel sottosuolo.
Ma piantare nuove foreste ha un impatto ben diverso da quello di preservare foreste antiche.
Quando un seme germoglia in una foresta vecchia centinaia di anni, entra a far parte di una rete già sviluppata di cooperazione tra organismi diversissimi tra loro. Sono soprattutto gli alberi più antichi ad avere un ruolo centrale e ad aiutare quelli più giovani a sopravvivere, come abbiamo detto, con l’aiuto di funghi e batteri. Non sono tanto gli alberi in sé, quanto le foreste che hanno sviluppato nei secoli equilibri sofisticati, non replicabili dall’uomo, a rivelarsi fondamentali per la lotta al cambiamento climatico. Esse non solo assorbono l’anidride carbonica, ma producono ossigeno, aiutano a mantenere il suolo sano, proteggono la biodiversità.
C’è qualche ragione per essere ottimisti: alla COP di Glasgow, l’incontro per il clima a cui partecipano la maggior parte degli Stati del mondo, cento nazioni si sono impegnate a fermare la deforestazione entro il 2030.
Confidiamo che questo impegno venga rispettato. In ogni caso, sapendo quello di cui sono capaci le foreste, sarà difficile d’ora in poi camminare tra gli alberi senza pensare con meraviglia all’universo di scambi e cooperazione che si muove, in ogni momento, sotto i nostri piedi.
Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) ha scritto racconti, romanzi e saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Il suo romanzo più recente è La disciplina di Penelope.
Giorgia Carofiglio (Monopoli, 1995) si è laureata in Teoria Politica presso la University College London. Ha lavorato in un’agenzia letteraria e collabora con case editrici.
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