Emilia Mastrangelo. Laureata in lettere, docente di italiano e latino nei licei attualmente in pensione. Da sempre scrittrice in erba ha accumulato negli anni una mole di bozze incompiute. Lettrice compulsiva, ha svariati interessi partecipando attivamente ad ogni iniziativa culturale e sociale. Partecipa al Concorso 50&Più da diversi anni conseguendo 12 Menzioni speciali della Giuria per la prosa e la poesia. Vive a Caserta.
Siamo un’allegra combriccola, poco meno di una decina di amici, attorno al fuoco del camino a casa di Gianberto, tutti giovani alle prime prove della vita, qualcuno già sposato, altri scompagnati, tutti al primo impiego in questo paesino tra le Alpi. Ammazziamo il tedio di un freddo pomeriggio domenicale tra un the ed un drink, discorrendo del più e del meno.
La conversazione cade su certi divieti della Chiesa, ancora tanto pressanti in questi inizi degli anni Settanta, come i rapporti prematrimoniali, la carne il venerdì, il celibato ecclesiastico o l’omosessualità. E c’è pure tra noi qualche sparuta anima bigotta che li ritiene ancora sacrosanti, ma manca il parere di Francesco, il più dissacrante tra di noi. In altre circostanze si sarebbe accalorato a dimostrarne l’assurdità con le sue argomentazioni tra il cervellotico ed il mirabolante. Invece ora sembra assente, come immerso in un oscuro viaggio nelle profondità del suo io.
Geniaccio stravagante Francesco, affabulatore straordinario, dotato di una personalità prepotente per originalità creativa e vastità culturale, sebbene abbia ancora un’impronta di scuola, lasciata non da molto. A ventisette anni, infatti, forte di una laurea in Lettere classiche magna cum laude, siede già in cattedra come prof di latino e greco nel Liceo Classico di Bassano, anche se il suo ciuffo ribelle e l’andatura dinoccolata stridono rispetto al sussiego professorale che assume per l’occorrenza, ma lui mira in alto, alla carriera universitaria e non solo …. Per questo occupa ogni frammento del suo tempo libero a studiare e studiare, riempiendo quadernoni di appunti da utilizzare, come dice sempre, per scrivere la più nuova e ponderosa Letteratura italiana in molti tomi.
– A che tomo sei arrivato, Prof? – lo canzoniamo spesso ridacchiando, quando è in mezzo a noi.
In fondo siamo abituati alle sue stravaganze. Finalmente si degna di rispondere alle nostre sollecitazioni:
– Amici, chi può dire quale sia il confine tra il lecito e l’illecito, tra regola e trasgressione? Orazio giustamente diceva “nullius addictus iurare in verba magistri”…
– E no, Fra’, non cominciare e non divagare con le tue citazioni dottorali! – Agnese ha sempre il dente avvelenato contro il nostro amico comune e non perde occasione per punzecchiarlo irridente.
– Ma c’entra, significa “non essere costretti a giurare fedeltà alle parole di nessun maestro” e noi dobbiamo essere uomini liberi, dobbiamo ragionare con la nostra testa. Le certezze di qualsiasi dottrina, religiosa o filosofica o politica ci tarpano le ali. Io almeno voglio essere libero di percorrere ogni strada.-.
– Allora non tergiversare e dicci se tu li ritieni giusti –
Ma si interrompe, cincischia e prende tempo… e dopo una serie infinita di preamboli dilatori, finalmente si decide, premettendo che, per rispondere, deve metterci a parte di un suo segreto troppo imbarazzante. Ormai ha ottenuto il suo scopo: ci ha incuriositi.
– Io ho una sorella. Si chiama Angela -, esordisce.
– E questo è tutto? Che segreto è? -, e sghignazziamo
– Quando nacque, io avevo tre anni ed ero una peste. Di notte tenevo svegli i miei con assurdi capricci e pianti isterici -. – Ti facevi conoscere, eh! Già da piccolo eri un impiastro -, lo punzecchia l’ironica Agnese.
– Allora abitavo con la mia famiglia a Cinisi, in provincia di Palermo. I miei lavoravano entrambi in banca, papà dirigeva la Filiale del Banco di Sicilia a Palermo e mamma era impiegata, in un’altra filiale della stessa banca, ma in paese. Di solito erano fuori casa quasi tutto il giorno per lavoro, perciò, dopo il periodo del congedo per la nuova maternità, mamma doveva riprendere il lavoro e non sapeva come fare. Lì per lì aveva trovato una donna che potesse badare a noi bimbi, ma presto riuscii a stancare anche lei a tal punto che dichiarò forfait. All’Asilo comunale mi avevano cacciato, perché prendevo a pugni e calci tutti i bambini. Insomma mia madre era disperata. Tra permessi e ferie aveva esaurito tutte le possibilità di restare a casa. Le rimaneva solo il licenziamento, ma non voleva rinunciare al suo stipendio e soprattutto alla possibilità di sentirsi una donna libera come persona, economicamente e giuridicamente. Lei è toscana d’origine e non si è mai adattata alle usanze sicule, che relegano le femmine solo al ruolo di mogli e madri -.
– Fra’, sei logorroico, come al solito, parti sempre da Adamo ed Eva. Dai, taglia corto! Dicci qual è il tuo segreto e facciamola finita con i tuoi preamboli! -. La solita Agnese dà voce al disappunto di tutti.
– Piano piano ci arrivo, ma i preamboli servono per capire – Ormai non lo ferma più nessuno.
– Per di più io ero geloso delle attenzioni che la piccola catturava e le facevo dispetti a raffica, come poi mi hanno raccontato i miei. Insomma, dopo vari conciliaboli, fu trovata la soluzione: portare Angela a Firenze dai nonni materni, ancora gagliardi e desiderosi di occuparsene. Partirono, dunque, i miei e tutto tornò come prima. Riebbi per me tutte le attenzioni, ma anche tutti i rimproveri e le punizioni per le mie marachelle sempre più numerose. Quella sorellina rimase per me un vago ricordo piuttosto spiacevole -.
– Perché, non la vedesti più? -.
– Ma si, qualche volta nelle feste di Natale o d’estate, quando i nonni venivano a trovarci; le rare volte che i miei andavano a Firenze non mi portavano con loro per avere meno problemi, mi lasciavano da alcuni zii di Palermo, che non erano tanto felici di tenermi -.
– Certo, eri ben voluto da tutti, ahahah! -.
– Poi, una volta cominciato il periodo della scuola, io trovai l’ambiente adatto per sfogare il mio spirito ribelle, angariando prima la maestra e poi i professori con domande a trabocchetto e scherzi diabolici e così mi facevo perdonare dai compagni le mie performances di bravura per primeggiare tra tutti, rendendomi artefice e complice di rivalse non mie verso i proff. In breve divenni un leader con una cerchia vastissima di amici e compagni di avventure -.
– E come poteva essere diversamente? Ti conosciamo fin troppo bene -.
– Anche Angela, crescendo, aveva cominciato ad avere la sua cerchia di amici e preferiva sempre più restare a Firenze piuttosto che venire tra i trogloditi, come ci chiamava, alludendo soprattutto a me. Non la vedevo da tempo e non la sentivo, perché allora non avevamo il telefono in casa e bisognava andare al telefono pubblico. Quando il telefono arrivò in casa nostra, ormai erano passati gli anni della prima adolescenza. Crescevamo, dunque, come due estranei, senza darci pensiero l’uno dell’altra.
Nel frattempo venne a mancare il nonno Ettore e fu la rivoluzione. Per prima cosa andammo tutti a Firenze per i funerali. Io avevo ormai diciannove anni ed ero al primo anno di Università. Stranamente non ricordo che impressione mi fece rivedere mia sorella. In tutto quel trambusto, tra persone che andavano e venivano in casa dei nonni per le condoglianze e per il rito funebre, la mia attenzione si disperdeva, ma dopo quell’evento cambiò radicalmente la mia vita. Nonna Gerardina venne a stare con noi ed anche Angela si dovette piegare, sia pure a malincuore, a lasciare la sua cerchia di amicizie e la sua scuola. Aveva sedici anni e mi accorsi che non passava inosservata tra i miei amici, che si fecero stranamente più assidui e cominciai anch’io a guardarla con altri occhi. La scrutavo per vedere cos’avesse di speciale da catturare tanti sguardi. Bella era bella, non ci avevo mai fatto caso: un personalino niente male, alta, ma non altissima, con le curve al posto giusto ed in più quel turgore che solo la prima giovinezza ti regala, come quella dei fiori appena sbocciati, che sono roridi di linfa e sembrano esplodere di vitalità, ma, ragazzi, il vero capolavoro era il viso, un ovale perfetto dall’incarnato roseo, su cui si affacciavano, come balconi, due grandi occhi di un verde limpido e trasparente… -. Ormai l’enfasi oratoria gli stava prendendo la mano.
– Ne parli al passato, ma è morta? -.
– No no, è ancora viva e sempre bella, ma allora era fulgida. Riuscivo a capire perché i miei amici si interessassero a lei e ne provavo una sorta di fastidio, un sentimento che non saprei definire. Era forse la stessa gelosia di quando era ancora nella culla ed io le strizzavo il naso per farla piangere o le rubavo il ciuccio per farle dispetto. Almeno così mi pareva -.
A poco a poco si sta facendo silenzio tra noi. Siamo protesi e curiosi di sapere dove il nostro amico voglia andare a parare.
– La tenevo d’occhio e quasi ne spiavo i movimenti dentro e fuori casa, come tenevo sotto controllo il telefono, da poco guadagnato all’utenza domestica. Angela protestava ed andava a lamentarsi dalla nonna o dai miei, quando ci ritrovavamo di sera a cena, ma io rivendicavo il mio ruolo di tutore della sua onorabilità in qualità di fratello maggiore. D’altra parte vedevo che un po’ la lusingava la mia attenzione e, nei momenti di relax, ci scherzavamo su insieme. Insomma, a poco a poco quella sorella in parte sconosciuta divenne il mio centro d’interesse, ma anche lei spesso veniva a raccontarmi le sue piccole beghe con le nuove amiche o mi confidava qualche simpatia particolare, nata tra i banchi o tra gli amici comuni. Solo che in questo caso provavo un rancore sordo, che non riuscivo a catalogare, m’indispettivo e la punzecchiavo e così finivamo col litigare -.
– Ma perché non la lasciavi in pace? Non avevi anche tu qualche simpatia? -, chiede Gianberto, il più settentrionale tra noi -.
– Certo, prima che venisse Angela, avevo tanti amorazzi, ma ora nessuno mi sembrava degno del mio tempo e della mia attenzione. Anzi nei rari momenti di solitudine o quando non riuscivo a dormire di notte, mi interrogavo su queste mie morbosità di atteggiamenti ed in verità cominciavo a preoccuparmi, perché ho sempre cercato di avere il controllo di me stesso. Liquidavo, però, ogni elucubrazione mentale con la frettolosa spiegazione che si trattava di affetto fraterno, esagerato, perché mai esercitato. E poi venne la festa sulla spiaggia di Mondello… Era Ferragosto ed eravamo in tanti, tutti gli amici e le amiche, qualche ragazzo sconosciuto in cerca di avventure estive e noi, Angela ed io. Quando cominciò la musica, si abbassarono le luci ed un complessino di giovani talenti in erba, quattro elementi più una bella voce solista, si adoperarono per creare la giusta atmosfera. Melodie lente, ballabili. Il cantante intonava canzoni di Fred Bongusto o Peppino Di Capri e le coppiette avvinghiate ballavano, muovendosi al dolce ritmo e sognando chissà che cosa. Angela pure si abbandonava tra le braccia dei tanti che la reclamavano. Ballavo anch’io, ma non riuscivo ad abbandonarmi. Tenevo d’occhio mia sorella e più la guardavo più mi rodeva il tarlo della gelosia. La invitai anch’io e fu la rivelazione! Non eravamo mai stati così vicini, i nostri corpi aderivano ed io avvertivo ogni centimetro, ogni curva del suo e la dolcezza del contatto era indescrivibile, ma con un senso misto di orrore e di piacere mi accorgevo che il turbamento era reciproco… Quella sera ballammo ancora ed ancora tra i lazzi e le proteste degli amici che la reclamavano. Tornammo a casa senza parlare, ognuno chiuso nelle sue riflessioni e forse nei suoi rimorsi. Non riuscii a dormire quella notte, tormentato da sensi di colpa e da problemi morali. Ormai la consapevolezza mi metteva di fronte ai moti del mio cuore e me ne rivelava spietatamente l’atrocità. Da quel momento niente più fu come prima… Entrambi cercavamo di evitarci. Uscivamo con compagnie diverse ed io mi rodevo doppiamente, perché stava con altri e perché mi tormentava il rimorso. Volli cercare conforto nel confessionale ed andai a scaricare la coscienza da Don Oreste, che mi scacciò in malo modo dalla chiesa, senza assoluzione e con una reprimenda che aveva il sapore di un giudizio divino inappellabile. Ero indegno persino di calpestare il suolo sacro; il mio peccato contro natura gridava vendetta al cospetto di Dio. Dovevo scacciare il demone da me e tornare purificato. E qui ci appuntiamo alla questione da cui siamo partiti. Secondo voi aveva ragione il prete? -.
– E certo, – dice Clotilde, la bigotta – Che doveva dirti? Pure l’applauso volevi? Capisci o no la gravità della cosa? Io sono allibita -.
Qualcuno azzarda altre valutazioni, ma siamo infastiditi da queste interruzioni. Ormai il racconto di Francesco ci ha presi totalmente e lo esortiamo a continuare…
– Un pomeriggio assolato di agosto ci ritrovammo soli in casa e pensai che un chiarimento tra noi avrebbe portato alla soluzione di tanto tormento. Non osai entrare nella sua camera, consapevole di una fragilità che avrebbe potuto condurmi all’irreparabile. La chiamai e sul divano del salotto ci interrogavamo. Parlavamo fitto fitto, vicini vicini… E sì, anche lei mi confessò i medesimi turbamenti. In fondo non eravamo cresciuti insieme, non ci accomunava la quotidianità di una fratellanza cresciuta con noi, non si era progressivamente rafforzato il vincolo di consanguineità. Insomma, vuoi la vicinanza, vuoi l’assenza di ogni sorveglianza, vuoi la complicità che si creò tra noi, tutto si intorpidì definitivamente ed all’improvviso ci ritrovammo l’uno nelle braccia dell’altra e … sì, ci sfiorammo le labbra e poi … fu un lungo e fremente bacio, da cui ci svegliò soltanto la voce stupita e furente di mamma ed esterrefatta di papà, che nel frattempo erano rientrati… -.
– Oddio, che successe? – Che successe? –
E tutti con i punti interrogativi nello sguardo ci rivolgiamo a lui, come all’oracolo. Francesco sorride sornione dietro gli occhiali.
– Ma ora Angela dov’è? –
– E’ qui con noi – dice serio – Non la vedete? Eterea ed impalpabile, ma presente. Ormai è parte di noi. Sovrasensibile, ma consistente… -.
– Ma dai, Fra’, ti prendi gioco di noi? Ancora con le tue astrusità? Non ci tenere sulle spine e dicci piuttosto che è successo dopo? -.
– Eppure vi dico che è qui. Chi di noi può dire quali siano i limiti del naturale? Appartiene al mondo delle creature. È una … mia creatura, perché, amici, fate conto che quel che vi ho detto non sia vero, se per verità intendete solo ciò che si vede e che si tocca. Anzi, quel che vi ho detto non è proprio vero, perché …perché… io una sorella non l’ho mai avuta. Sono figlio unico -.