Arlecchino, Brighella, Meneghino, Gianduja. Ma anche Colombina, Pantalone e Capitan Spaventa. Sono solo alcune delle maschere della nostra tradizione, figure di un passato incredibilmente familiare. Oggi, però, per lo più superate. Eppure hanno origini molto lontane e affondano nella storia di ogni regione o città di provenienza
Nascono originariamente con riti religiosi ma è il teatro a farle conoscere in maniera decisamente più diffusa. È grazie alla Commedia dell’Arte se diventano protagoniste assolute del nostro immaginario, col loro corredo di incredibili personalità, abiti spesso singolari e accenti tipici dialettali.
L’origine delle maschere tradizionali che conosciamo risale al XVI secolo. Erano la leva che gli attori usavano per interpretare delle “maschere” ovvero dei personaggi stilizzati che rappresentano tratti caratteriali, vizi e virtù del genere umano. C’era il cavaliere, il guascone, la serva, la damigella e così via. Tutti a darsi il cambio in spettacoli che, spesso e volentieri, avvenivano proprio per le strade.
Il più noto resta di sicuro Arlecchino. È il più colorato e sembra derivare dallo Zanni bergamasco, dal quale ha ereditato l’infernale maschera nera, un personaggio già noto nell’antica Roma prima che nella Commedia dell’Arte. Ma non tutti sanno che il suo abito, in origine, era tutto bianco, e che i riquadri colorati non erano altro che toppe che lui, per l’estrema povertà, aggiungeva di volta in volta al capo. Servo, infedele al padrone, è il re delle burle e degli imbrogli. Agile nel movimento e con la lingua lunga, spesso usa il dialetto.
All’altro capo della Penisola c’è invece un personaggio ritenuto storicamente suo antagonista – chi non li ha mai visti rivali nel teatro dei burattini?! -: il celebre Pulcinella (noto anche come Policinella o Pollicinella). Questo personaggio nasce nel ’600 a Napoli. Nel teatro delle marionette è il servo di Mangiafuoco a cui però si ribella.
Risalendo, a Roma troviamo il celebre Rugantino, noto anche al di là della tradizione del Carnevale. È un picaro e il suo nome viene da “ruganza” che sta per “arroganza”. Ma come ogni picaro, in fondo ambisce a un riscatto. Con lui, tra i personaggi del Carnevale romano, c’è sicuramente Meo Patacca, una figura curiosa di popolano, abile con le armi, senza un quattrino, che vive a Trastevere (storico quartiere di Roma): un attaccabrighe.
Su a Bologna c’è invece Balanzone: superbo, prolisso, brontolone. Millanta una cultura che però poi rivela non possedere: imbottisce i suoi discorsi di citazioni latine che intercala col dialetto bolognese. Il Dottor Balanzone è di certo una delle più note tra le maschere tradizionali. Come pure Gianduja, collega del Piemonte, legato al territorio dell’astigiano. Il nome sembra venire da Gioann dla doja – Giovanni dal boccale -, anche se “doja” sarebbe piuttosto il recipiente per il vino.
Anche la Lombardia è ricca di queste figure che, spesso, non sono altro che forme allegoriche della vita e degli atteggiamenti umani. A Bergamo ce ne sono almeno un paio. La più nota – di cui abbiamo già detto – è senza dubbio Arlecchino. Poi, arriva Brighella. Un altro attaccabrighe, alla stregua degli altri smargiassi sparsi per tutta la Penisola, ma davvero pronto a tutto pur di ottenere ciò che vuole, disposto a sfidare la sorte, è sempre convinto di farla franca. Canta e balla, anche lui è figlio della Commedia dell’Arte.
Ma come non citare Meneghino, naturalmente lombardo. Ha la particolarità di non indossare mai la maschera e di entrare in scena a volto scoperto. È saggio e si prende gioco della ricchezza e dei potenti. L’invenzione di questo personaggio, una sorta di archetipo, viene fatta risalire addirittura a Plauto. La bella, invece, è lei: Colombina! La veneziana, fidanzata di Arlecchino ma nelle mire di Pantalone che, invece, la vorrebbe per sé. È la servetta furba, audace, seducente.
Non resta allora che ricordare Pantalone. Lui, veneziano, ricco e spilorcio. Fa il mercante e dal suo carattere deriva l’espressione “Paga Pantalone”. Non a caso, viene rappresentato sempre con addosso una sacca piena di monete. Tra le più tradizionali ci sono poi Capitan Fracassa (detto anche Capitan Spaventa): ligure, soldato, spaccone, fifone, anzi proprio codardo. Deriso, prende spesso un sacco di botte.
Di figure curiose e legate al culto della terra, ce ne sono molte disseminate da un capo all’altro del Paese. Un esempio? I Mamuthones. Vengono dalla Sardegna e, loro sì, sono davvero spaventosi. Hanno maschere in legno nero, la schiena ricoperta di pelli di pecora e rumorosissimi campanacci. Peggio ancora in termini di spavento, gli Ainu Orriadore, interamente rivestiti con pelli di pecora e maschere fatte addirittura di ossa. Decisamente più su, in Trentino Alto Adige, ci sono invece gli Schnappviechern. Un nome pressoché impronunciabile ma di sicuro effetto, con una bocca enorme che aprendosi e chiudendosi produce un grosso frastuono.
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