Maurizio Marroccu.
Autodidatta, da sempre appassionato di ogni forma d’arte si diletta a scrivere e a dipingere. Nella pittura ama sperimentare varie tecniche e strumenti, negli ultimi anni vicende personali lo hanno spinto verso l’iperrealismo con uso didi pennelli e aerografo con colori acrilici. A marzo 2019 ha realizzato una personale di pittura presso il comune di Rubano (Pd), città in cui vive. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta; nel 2019 ha vinto la Farfalla d’oro per la pittura.
Quello sembrava un inverno come gli altri.
Il freddo, i malanni di stagione, un po’ d’ansia per quella febbre che arriva sempre di venerdì.
La gioia non era mai scemata, quella semmai era l’ennesima occasione per ringraziare il Signore.
Questo figlio era sano, non avremmo ripetuto il calvario, non avremmo versato fiumi di lacrime abbracciati stretti stretti, per non far vedere all’altro il viso rigato dal pianto.
Io e te, amore mio, abbiamo aspettato tanto per provarci ancora, timorosi e provati, ma fortunatamente fuori dall’ Oscurità.
Il destino ci aveva messi alla prova, ma alla fine tutto si era risolto, tutto era alle spalle… ma non dimenticato.
Ma quella febbre, perché non passa, è sempre alta, gli antibiotici non hanno effetto.
Quell’ospedale era la nostra seconda casa: l’avvenimento che avevamo tanto desiderato, il nostro primo figlio, si era trasformato dalla immensa gioia della nascita in una innaturale forzata sosta in quella meravigliosa e tristissima pensione per bambini sfortunati.
Per quasi un mese abbiamo sofferto, ma infine eccoci a casa, col nostro adorato fardello da crescere e accudire, ma soprattutto da amare.
Ormai sono nove giorni, la febbre è sempre alta, neanche l’altro antibiotico ha effetto.
Sapevamo che non era finita, tutt’altro.
Ogni notte sognavo l’intervento; per cinque anni ho immaginato ogni possibile variante, ogni possibile situazione.
Quando arrivò il Giorno, Massimo era stato nella mia mente già operato migliaia di volte.
Non è stata una passeggiata come sembrava, perché il macchinario per l’endoscopia poteva essere utilizzato solo dal primario, che quel mattino scoprimmo essere in vacanza.
Fu comunque la fine di un incubo: solo la vistosa cicatrice avrebbe ricordato il difetto di quel piccolo cuore.
Andiamo al pronto soccorso, la febbre non accenna a scendere.
Finalmente sereni. Ora Massimo aveva bisogno di un fratellino e anche noi sentivamo che c’era un posticino da riempire, un mattoncino da inserire per completare la costruzione della nostra famiglia.
Ed è arrivato Andrea, si è ripetuto il miracolo davanti ai miei occhi increduli e terrorizzati.
Subito si rinnova la paura: sarà a posto, ci saranno problemi?
Le visite e gli esami si susseguivano, e le confortanti risposte ci rasserenavano; l’Oscurità si allontanava.
Questo figlio era sano, non avremmo ripetuto il calvario, non avremmo versato fiumi di lacrime abbracciati stretti stretti, per non far vedere all’altro il viso rigato dal pianto.
Visita del pediatra, esami, raggi, ecografia, niente. La febbre rimane, alta e foriera di cattive nuove.
C’è qualcosa, forse una bronchiolite, forse no. L’inquietudine comincia a far breccia nei nostri volti. Ma Andrea sembra sereno, tranquillo, come se sapesse qualcosa che noi ignoriamo.
Chissà perché, il cognome di Andrea fu gridato da un infermiere, e venne all’orecchio di una professoressa.
Questa, sentendo quel nome insolito, venne al pronto soccorso per vedere se si trattava… sì, era proprio “quel” nome; tanti anni prima aveva scoperto lei il problema di Massimo. “Ancora voi?”, ci disse, ricordando, e visitò nuovamente Andrea nonostante le tiepide rimostranze della pediatra che lo aveva appena fatto rivestire. La febbre era sempre lì, alta e inspiegabile.
Il microfono dell’ecografo riprese a muoversi, sotto la guida esperta, le immagini sfuocate si susseguivano sul monitor. Trascorrevano i minuti, lampi di colore rosso e blu saettavano sullo schermo, ad indicare qualcosa che per noi era solo nebbia ed inquietudine; insisteva nei dintorni di quel cuoricino, mossa da una tenacia non comune, e per attimi eterni si sentì solo un battito distorto e amplificato.
Ci accorgemmo che la mano della dottoressa era ferma, il suo volto serio.
“Lo sospettavo”, sussurrò.
Per noi fu il gelo, l’incredulità, il riaprirsi del baratro.
“Andrea ha una malformazione cardiaca nascosta, è un candidato alla morte improvvisa”, fu la diagnosi, “ma la abbiamo trovata appena in tempo, si può operare”.
La mamma tremante volle misurare di nuovo quella febbre, foriera di cattive nuove.
Ma era completamente scomparsa.
Quello sembrava un inverno come gli altri, e forse lo era.
Ma non per noi.