Maria Pia Cortellessa. Laureata in Lingue Straniere, docente di lingua inglese nelle scuole medie e superiori, dopo il pensionamento ha conseguito l’abilitazione per l’esercizio della professione di Guida Turistica, esercitando tale attività nelle province di Rimini e di Foggia, città in cui vive. Dal 2019 si è dedicata alla scrittura creativa e al Concorso 50&Più ha vinto la Farfalla d’oro, la Libellula d’oro e la Libellula 50&iù per la prosa; nel 2024 ha vinto un riconoscimento al Premio Internazionale Murgia Demos.
Stesa sul letto della mia cameretta, voltata verso la parete, guardo la crepa che sale sinuosa fino al soffitto. É da qui che le mie fantasie prendono vita, ogni giorno.
E proprio lì dove la crepa si sdoppia dando origine ad una biforcazione, intravedo l’eroina del mio sogno fantastico, Angela, la ragazza che impersona me stessa o, meglio, quella che vorrei essere: tipo svedese, bella da levare il fiato, come se il Padreterno avesse deciso di costruirla a regola d’arte dalla radice dei capelli alla punta dei piedi. Labbra piene, lunghi capelli color miele che le scendono sulle scapole a incorniciare il viso di un pallore singolare, con solo qualche lentiggine a sottolineare il suo candore. Corpo ancora immaturo ma già molto seducente. Seni appuntiti, i cui capezzoli turgidi si intravedono attraverso la t-shirt attillata. Lunghe gambe sottili e perfette.
Accanto a lei Gianni, non un figo qualunque ma qualcosa di più. Alto, fisico da palestrato, occhi azzurri e folti capelli neri con un ciuffo che gli ricade spesso sulla fronte, anzi no, il ciuffo davanti è fuori moda, meglio sfumature laterali e ciuffo all’indietro, è più trendy. Comunque sia, un figo da sballo.
Sono una coppia perfetta, si amano di un amore tenero ma allo stesso tempo passionale – coniugo così il mio romanticismo da ragazzina brutta e sfigata con gli ormoni che intanto si scatenano. Ma la relazione tra i due super fighi è contrastata dai familiari e soprattutto suscita l’invidia delle sorellastre di Angela: brutte, perfide e cattive, tanto da ostacolare l’amore di Gianni e Angela solo per gelosia.
La fantasia segue la crepa sulla parete. Laddove cambia di colore divenendo più marcata e grigia, la storia si fa triste, piena di eventi negativi, ma… All’improvviso una mano mi scuote forte il braccio. Mi volto e vedo mia sorella (quella vera, non la sorellastra), lo sguardo un po’ sorpreso un po’ incazzato, mi chiede cosa sto lì a fare, fissando la parete come un’ebete.
Ho letto un libro, un bel libro, che parlava di desideri e di sogni e dei tentativi che sempre dobbiamo fare per soddisfare le nostre aspirazioni. Anche se cadiamo, diceva il libro, dobbiamo rialzarci e ricominciare a sognare. É tutto qui, racchiuso in queste poche righe, il segreto di una vita felice. Uhm…mi chiedo da che parte cominciare.
Per il momento, pur vivendo una realtà disturbata e infelice, continuo a sognare guardando le crepe sul muro della mia cameretta. Che del resto a sognare non si fa male a nessuno. E allora, dove ero rimasta?
Le crepe a volte si interrompono o, meglio, fanno un balzo, ricominciando in un punto diverso che va verso l’alto. Dal ché capisco che la storia sta diventando drammatica.
Angela si ammala, è stesa sul letto febbricitante, non ci sono medicine che abbiano effetto sulla strana malattia. Gianni è disperato perché non può più vederla, è molto preoccupato. Ad un certo punto, durante il sonno, Angela ha una visione: una donna con abiti dell’Ottocento e le sembianze di una fata, le si avvicina e le ordina di alzarsi. La ragazza lo fa con sforzo, soggiogata da quella apparizione. La fata la prende per mano e la porta fuori di casa dove l’attende una splendida carrozza trainata da quattro cavalli bianchi. Salita a bordo, Angela viene condotta in un castello maestoso e incantato dove l’attende il bellissimo principe Gianni, pronto ad accoglierla tra i suoi poderosi bicipiti.
Ok, per oggi può bastare. Il dovere mi chiama, ho da prepararmi per l’interrogazione di storia che mi aspetta domani.
Mi vesto in fretta, dando un’occhiata allo specchio che dal battente interno dell’armadio mi rimanda la solita goffa figura – troppa ciccia sulla pancia, seno pressoché inesistente, pustole sul viso che nonostante un massiccio strato di correttore continuano a eruttare come l’Etna in un brutto giorno, naso meglio non guardarlo. Sconfortata, sistemo i libri agganciati con la vecchia cintura di plastica e mi avvio verso la casa della mia amica del cuore, compagna di banco e sfigata come me.
Ho fatto tardi e devo affrettare il passo. Ed è così che nello scendere da un marciapiede per attraversare la strada non mi accorgo che il dislivello è più alto del normale, inciampo e cado giù come un sasso. I libri si slacciano dalla cintura già logora e si sparpagliano sulla pavimentazione. Un po’ spaventata, ma di più incazzata con me stessa, senza alzare lo sguardo, immagino che la gente intorno stia ridendo della mia goffaggine. Mi rialzo in fretta, vedo sangue uscirmi dal ginocchio. Sento qualcuno che mi si avvicina e vedo una mano ossuta tesa verso di me.
«Non è niente, non mi sono fratturata, è tutto a posto» dico con voce alterata.
«Ma hai un ginocchio che sanguina, lascia che ti aiuti»
Sollevo la testa e tra le lacrime che non riesco a trattenere vedo un ragazzo poco più grande di me, smilzo, spessi occhiali da miope, capelli riccioluti e scomposti sulla fronte, lo sguardo dolce e preoccupato. Mi sembra di averlo già visto… ma sì, davanti a scuola, se ne sta sempre in disparte, un libro aperto tra le mani, in attesa del suono della campanella. É così insignificante che non aveva mai attirato la mia attenzione più di tanto.
Si china a raccogliere i libri, tira fuori un fazzoletto e li ripulisce accuratamente dalla polvere. Poi li rimette nella cintura e me li porge con un sorriso. Gli sorrido anch’io.
«Ora vieni a casa mia che ti disinfetto la ferita, abito qui a due passi»
Senza parlare lo seguo. Saliamo due rampe di scale di un vecchio palazzo senza ascensore. Apre la porta di casa, attraversiamo un lungo corridoio e mi fa entrare in una piccola stanza. «Questa è la mia cameretta. Qui ho tutto l’occorrente per ogni evenienza». Tira fuori da un armadietto alcool e ovatta, mi fa sedere sul suo letto e mi disinfetta delicatamente soffiando sulla ferita per alleviare il bruciore. Poi mi sistema un cerotto, di quelli che non ti spellano vivo quando li togli. Lo guardo incantata, non riesco a dire nemmeno una parola. É così tenero e sicuro di sé. Un moto di commozione si impadronisce di tutto il mio corpo, mi sale sulle guance, che temo siano diventate rosse come due pomodori maturi, e di nuovo mi sforzo di frenare le lacrime.
«Mammaaa», grida verso la cucina, «mi prepari una tazza di tè per la mia amica che si è fatta male?» Neanche ci siamo presentati e già mi chiama “amica”. Beviamo il tè insieme, parliamo della scuola, della famiglia, e soprattutto dei libri di cui entrambi siamo appassionati. Dopo una buona oretta mi riscuoto, penso alla mia amica sfigata che mi sta aspettando chiedendosi che fine abbia fatto.
Nell’accompagnarmi alla porta mi stringe la mano e poi mi dà un bacio su entrambe le guance. «Ci vediamo domattina davanti a scuola. Mi raccomando: non scappare via come sempre». Resisto alla tentazione di abbracciarlo e vado via, il cuore che batte all’impazzata, le gambe leggere come quelle di una gazzella.
Oggi a tavola mio padre ci ha informate che la prossima settimana verrà l’imbianchino a intonacare e pittare le pareti della cameretta. «Di che colore volete che le faccia?». «Rosa!», gridano entrambe le mie sorelle. «Verde!», propongo io, come la speranza, penso dentro di me.