Poetessa e antropologa, Márcia Theóphilo canta la bellezza della natura, la cultura e lo spirito della Foresta Amazzonica, un’anima che si sta dissolvendo, e la necessità di salvare il polmone verde che alimenta la vita del mondo. Il suo è il sogno del ritorno a un mondo pulito, senza inquinamento e crudeltà.
Márcia Theóphilo dice di conoscere la foresta amazzonica fin da piccola, vi è cresciuta insieme ad altri bambini e alle variopinte specie degli uccelli. «Nell’Amazzonia della mia infanzia, i bambini vivevano nei villaggi in piena libertà, giocavano e il gioco stesso insegnava a vivere, a procurarsi il frutto degli alberi, a imitare il suono degli uccelli e degli altri animali, a vivere la pioggia e l’acqua come elemento ludico». La nonna paterna di Márcia Theóphilo era una grande matriarca india che raccontava storie, è stata la prima persona a parlarle di miti, delle grandi visioni del fiume, del soffio del vento, delle metamorfosi della luna, delle storie delle sirene e dei folletti, mettendola a contatto con la polifonia delle voci e dei suoni della natura, dove animali, alberi, fiori sono figure che sapevano comunicare fra di loro e con gli umani. Da questa esperienza così fondativa è nata Márcia Theóphilo (nella foto di apertura), la poetessa e antropologa che a quel mondo ha dato vita, forma, sostanza e respiro con la forza, il coinvolgimento, l’amorosa ossessione tematica e linguistica che si specchia in tutti i suoi libri, fino all’ultimo, Amazzonia verde d’acqua, pubblicato nella prestigiosa collana Lo Specchio Mondadori.
Lei dice, Márcia: “Se per ossessione si intende una forma di amore estremo, allora sì, la mia è proprio un’ossessione e ha radici molto profonde. La poesia è la mia compagna, la mia seconda pelle, la mia preghiera”. Ma non è anche il simbolo di una battaglia ecologica di libertà e di liberazione, una sorta di utopia dentro cui riconoscersi per lenire il dolore, cicatrizzare le ferite, il lutto, la perdita?
L’ultima catastrofe provocata in Amazzonia è un crimine contro la natura con dimensioni di una tragedia. La biodiversità, le varietà di specie viventi, gli esseri umani e quelli che vivono nell’invisibile, le divinità e i miti si trasformano l’uno nell’altro. Anche la nostra cultura sparirà, come le nostre parole. La terra è un organismo vivente di per sé, capace di generare la sua autodifesa. La mia voce, la mia opera e l’opera di tutti i guardiani della foresta, come quella degli Indios, del Wwf, del partito dei Verdi, sono una forma naturale e necessaria di autodifesa della natura.
Come antropologa, rispetto al poeta ha imparato qualcosa in più sulla foresta e sugli Indios che la abitano? Il poeta quanto deve all’antropologa?
È per non dimenticare la forza del passato e non disperdersi in quest’oggi della cultura occidentale che la mia poesia va crescendo attorno all’esistenza, al paesaggio naturale e alla spiritualità. Ma quel che soffia è la preghiera come ebbrezza nella sua semplice sonorità, per un mondo che non deve morire. L’ambiente è selvaggio, primordiale, la sua narrazione è come se fosse un grande corpo in trasformazione. Un popolo indio della foresta amazzonica ha realizzato nel suo linguaggio 16 modi diversi di descrivere il verde. Solo nel profondo di quella foresta si possono cogliere tante sfumature e significati. Distrutti gli uomini che erano capaci di scorgere quei tanti modi d’intendere il verde, distrutta ogni possibilità d’incontro tra loro, resteremo per sempre esseri umani per cui il verde è solo verde.
L’umanità avrà guadagnato in velocità di movimento, ma chi può dire che il movimento sia più prezioso di questo colore?
A me ha sempre interessato il problema degli Indios, i primi grandi guardiani della foresta. Volevo capire a fondo la loro umanità così pura all’origine e per questo minacciata dalla degradazione ed esposta a grandi pericoli.
La speranza di questa battaglia è che altri esseri umani possano salvare la loro Amazzonia, salvare il paesaggio della nostra infanzia, lo sfondo dei nostri sogni dalla depredazione dei nostri simili?
Le cose nascono dentro di noi come la musica nasce da uno strumento. Siamo lo strumento di qualcosa che è al di fuori di noi, ma di cui facciamo parte. In modo più o meno consapevole, la mente dell’artista si muove in questa dimensione. I sognatori, gli artisti sono il senso dell’universo, qualcosa in più della scienza, sono l’anima della materia, imprevedibili e profondi quanto l’universo infinito.
Esiste un’universalità del mondo creativo dei bambini?
I bambini sentono gli esseri naturali e soprannaturali, gli esseri che volano e cantano con l’allegria della loro immaginazione nel vissuto quotidiano, anche una lattina, una ruota o una scatoletta sono il principio di tutti i sogni.
Lei vive da molto in Italia? Come viene percepita la sua poesia sull’Amazzonia dalla gente che l’ascolta e che la legge? Non c’è il rischio che sia un fatto lontano, esotico?
Io vivo da tanti anni in Italia, ma vivo anche in Brasile, la mia famiglia è lì. Negli ultimi anni ho fatto vari viaggi in Amazzonia, anche con un’amica fotografa che ha pubblicato un libro di foto con le mie poesie. Io so di avere tanti lettori e molte persone assistono sempre con grande interesse ai recital dove leggo le mie poesie, tanto in Italia quanto in Brasile. L’Amazzonia è un ecosistema che sta scomparendo, in questo momento storico è un simbolo di un pianeta che sta lentamente morendo e l’umanità ne sta prendendo atto.
© Riproduzione riservata