Le poche risorse a disposizione e la denatalità frenano ancora una volta un intervento organico sulle pensioni. Ecco le misure al vaglio del Governo
La Legge di Bilancio si avvicina e come ogni anno molti lavoratori si stanno chiedendo se nel 2024 potranno andare in pensione, ma ancora una volta, nonostante la ripresa del confronto tra governo e sindacati, mancano le risorse necessarie per il cosiddetto superamento della Legge Fornero e per una riforma complessiva della previdenza pubblica obbligatoria. La manovra 2024, pertanto, si limiterà a confermare o prorogare le misure già esistenti con pochi cambiamenti.
Si ipotizza innanzitutto la proroga fino al 31 dicembre 2024 di “Quota 103”, ossia l’uscita anticipata con 62 anni di età e almeno 41 anni di contributi. Introdotta dalla Legge di Bilancio 2023, la cosiddetta “pensione anticipata flessibile” prevede una finestra di tre mesi per i lavoratori del settore privato e di sei mesi per il settore pubblico e l’impossibilità di cumulare reddito da lavoro e pensione fino al compimento del 67° anno di età. Inoltre, per le mensilità di anticipo rispetto al compimento dell’età pensionabile, l’importo della pensione non può essere superiore a cinque volte il trattamento minimo (€ 2.840 per il 2023). Coloro che, pur avendo i requisiti, non optano per l’uscita anticipata possono ottenere un incentivo in busta paga.
Il Governo sta inoltre valutando di prorogare l’Ape sociale ampliandone la platea e coinvolgendo alcune figure professionali impegnate in attività gravose e usuranti.
L’Anticipo pensionistico (APE), introdotto dalla Legge di Bilancio 2017, è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’Inps nella misura massima di € 1.500, che in questi anni ha permesso a molti lavoratori in stato di difficoltà l’uscita anticipata a 63 anni. Per ottenere la prestazione è necessario che i soggetti nelle condizioni previste dalla legge (disoccupati di lungo corso, caregiver, invalidi civili con una percentuale pari o superiore al 74% e addetti ai lavori gravosi) posseggano almeno 30 anni di contributi (36 anni per chi ha svolto mansioni gravose), abbiano cessato l’attività e non siano titolari di una pensione diretta.
C’è poi il nodo “opzione donna”: i sindacati chiedono a gran voce un ritorno al passato ma tornare ai requisiti in vigore nel 2022 (uscita con 58 anni per le lavoratrici dipendenti o 59 per le lavoratrici autonome e 35 anni di contributi) appare poco probabile perché troppo costoso.
Il Governo sembrerebbe tuttavia disponibile a prorogare “opzione donna” allentando almeno parzialmente la stretta introdotta dalla Legge di Bilancio 2023, che ha limitato la platea interessata a poche migliaia di lavoratrici. L’obiettivo potrebbe essere quello di ampliare la platea delle beneficiarie ad almeno 10-15mila lavoratrici, senza però abbassare il requisito anagrafico dei 60 anni.
Restano invariati nel 2024 i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (67 anni di età e almeno 20 anni di contributi) e alla pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).
A più riprese il ministro del Lavoro Marina Calderone ha dichiarato di voler rilanciare la previdenza complementare, che dovrà essere sviluppata in sinergia con quella obbligatoria, ma per il momento mancano gli interventi concreti. In uno scenario sempre più caratterizzato dall’instabilità economica e dal progressivo invecchiamento della popolazione, siamo convinti che sia questa – più di altre – la strada da percorrere per garantire nel lungo periodo la sostenibilità del nostro sistema previdenziale.
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