L’azzardo non guarda in faccia a nessuno. Giovani, adulti, anziani sono tutti esposti al rischio di cadere in una dipendenza da gioco. Ma nella terza età, specie da qualche anno a questa parte, il fenomeno si sta rivelando realmente preoccupante.
Secondo dati Nomisma, il 16% degli anziani gioca una volta al mese; l’8% una volta a settimana e il 3% tutti i giorni. Ed è proprio per il diffondersi di questa che, per molti, è diventata una consuetudine che le stesse Istituzioni sono scese in campo, anche a livello territoriale. Il Ministero della Salute ha assegnato circa 4,8 milioni di euro alla Regione Lazio nell’ambito del Fondo destinato alla prevenzione, cura e riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d’azzardo patologico (GAP). Fondi che concorreranno alla promozione di attività al servizio di coloro che ne hanno bisogno, di chi soffre di forme di ludopatia.
Altro che gioco, è un disturbo
Ma è il Dottor Onofrio Casciani, psicologo e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale dell’Ambulatorio Specialistico “Disturbo da Gioco d’Azzardo” della ASL Roma1 a farci notare quanto il termine che più spesso viene usato – “gioco”, appunto – possa essere inadeguato, se non addirittura fuorviante. “Il gioco di per sé è educativo – sottolinea -, il gioco serve. Il gioco d’azzardo, invece, è un’altra cosa. Perciò, è più corretto parlare di disturbo – perché richiama a un disturbo, quindi a una malattia. Ora, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice chiaramente che la dipendenza è una malattia cronica recidivante e se il gioco d’azzardo è una dipendenza, vuol dire che è una malattia. Però, è una malattia che si può curare e il termine corretto con cui chiamarla è disturbo da gioco d’azzardo”.
E, come dicevamo, coinvolge sempre più anziani. Stando all’indagine Nomisma, la “Silver Age” gioca soprattutto per distrarsi dai problemi (35%) o per curiosità e passatempo (29%). Gli ultra sessantenni optano per luoghi fisici di scommesse e sale bingo mentre solo il 3% scommette online. Il 21% nasconde il problema e, dunque, neppure chiede aiuto.
In pubblico ma soli
“Coloro che preferiscono le Slot machines, il bingo e il gratta e vinci, più che il brivido cercano la distrazione. Ad esempio: ho preoccupazioni, pensieri brutti, soffro di solitudine? Con le slot, mi immergo in un mondo irreale, virtuale che, in quel momento, mi fa stare bene. E, al di là della vincita o della perdita, spesso è questa sensazione che mantiene in piedi il gioco e diventa così centrale che tutto il resto delle aree della mia vita diventano di sfondo. Il che spesso amplifica problemi nelle relazioni sociali, coniugali, problemi al lavoro e gli effetti diventano così tanto evidenti che, talvolta, alcune persone riescono a prendere in considerazione l’idea di farsi curare”.
Tornare a credere in sé
La difficoltà maggiore, prima di arrivare a chiedere aiuto, è spesso lo stigma sociale che è forte e che finisce per isolare sempre di più coloro che soffrono di disturbo da gioco d’azzardo. L’altro aspetto complesso è risalire alle cause che ci spingono verso le scommesse: proprio per questo occorre non agire da soli. “Molti – ci spiega ancora il dottor Casciani – cercano la sedazione, la fuga dalle difficoltà. Probabilmente, queste persone – e scavando attraverso l’anamnesi, attraverso l’indagine delle varie aree che compongono la vita di questa persona noi capiamo – non credono nella propria capacità di affrontare i problemi. Diciamo che l’idea di fondo è: io non sono in grado di affrontare questa montagna di problemi e quindi scappo. Non ci penso. Mi rifugio in questa cosa che mi gratifica”.
Eppure, una via di uscita c’è e passa attraverso servizi sanitari pubblici di prossimità. Esistono, infatti, incontri individuali, di gruppo a seconda delle necessità di ogni persona e dipendono direttamente dalle aziende sanitarie locali.
(Foto apertura: Ihor Koptilin/Shutterstock.com)
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