È tra i principali portavoce di difesa della natura. Che troppo spesso sfruttiamo, disinteressandoci degli effetti che, come un domino, si stanno verificando. Ma c’è ancora speranza: nella spinta dei giovani e nei Governi sensibili alla questione ambientale. Luciano Di Tizio presidente di WWF Italia dal luglio scorso, si è impegnato per molti anni come giornalista a far conoscere e sollecitare la soluzione delle problematiche relative all’ambiente e alla natura, anche con numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative sulla piccola fauna.
Nel WWF già dal 1992, per sette anni delegato regionale abruzzese, è una guardia volontaria ittica-ambientale ed è vice presidente della Societas Herpetologica Italica.
Chiamato improvvisamente a sostituire Daniela Ducato, dimissionaria per motivi personali dopo meno di due mesi dalla nomina, si è presentato proponendo, come mattoni per costruire una società più sostenibile e inclusiva, «la tutela della biodiversità, ridurre le emissioni, restituire spazio alla natura, contribuire alla conversione in senso sostenibile delle attività economiche, informare e sensibilizzare le persone su stili di vita più responsabili».
Nell’intervista ci presenta le problematiche ambientali e ci spiega come difendere la natura nel nostro Paese, e non solo.
Qual è il ruolo e l’azione del WWF oggi? E quali sono le specificità di WWF Italia?
Il WWF è la più grande e più diffusa organizzazione mondiale per la difesa della natura. Agisce in buona parte del pianeta da oltre sessant’anni sia direttamente con progetti e interventi a tutela di ambienti e specie a rischio (uomo compreso), sia svolgendo un ruolo di stimolo e di supporto nei confronti dei singoli cittadini, delle aziende e dei governi, perché ciascuno, nelle proprie rispettive possibilità e competenze, agisca correttamente nei confronti del pianeta. Un ruolo e un’azione che si giustificavano nel 1961, quando nacque l’associazione del Panda, e che sono ancora più preziosi oggi, vista la criticità dell’epoca storica nella quale viviamo.
Il WWF Italia dal 1966 declina a livello nazionale il credo dell’organizzazione internazionale e in più ha delle preziose specificità, attraverso la gestione diretta nelle sue oltre 100 Oasi di una parte importante del territorio protetto nazionale, e attraverso le proprie guardie ambientali che contribuiscono fattivamente, in collaborazione con le Forze dell’Ordine, alla tutela della natura nel suo complesso. Noi tutti della famiglia del Panda abbiamo un grande senso di gratitudine nei confronti di Fulco Pratesi, fondatore e oggi presidente onorario dell’associazione, una gratitudine che spero sentano tutti gli italiani.
Quali sono le difficoltà tipicamente italiane, sia organizzative sia di mentalità sia semplicemente geografiche, che WWF deve affrontare?
È molto diffusa, qui in Italia, una strana mentalità: quella che vorrebbe una netta distinzione tra i beni privati e quelli pubblici. Questi ultimi appartengono a tutti, quindi anche a ciascuno di noi. Ma questo evidentemente non riusciamo a capirlo. Non si spiega altrimenti il fatto che continuiamo a gettare rifiuti ovunque, in molte parti del Paese a stentare con la raccolta differenziata, a non capire che una bella piazza o una strada pulite rappresentano un vantaggio per tutti, e che tutelare l’ambiente non è un vezzo ma una scelta obbligata e salutare per il pianeta e per ciascuno di noi. Forse ci manca un adeguato senso di appartenenza alla comunità, altrimenti non saprei proprio come spiegare certi comportamenti…
Quali sono le principali criticità ecologiche attuali nel mondo e in Italia?
Credo sia evidente come il cambiamento climatico stia modificando la realtà che ci circonda. Intendiamoci: il cambiamento in sé è un evento naturale, è l’accelerazione che abbiamo impresso a questo cambiamento con i nostri comportamenti scellerati a creare il problema. Se le modifiche sono troppo repentine non abbiamo il tempo di adattarci e le difficoltà si centuplicano. Il clima che cambia è ovviamente una criticità planetaria. In Italia in particolare paghiamo lo scotto aggiuntivo di avere una classe politica che non guarda avanti nel tempo, oltre i propri immediati interessi elettorali. Ci vogliono, e sono urgenti, scelte coraggiose. Invece, per dirne solo un paio, sul fronte energia continuiamo ad accumulare ritardi sulle rinnovabili, e anche su queste con scelte a volte più che discutibili, e facciamo troppo poco, spesso quasi nulla, per mandare in pensione le fonti fossili.
Quali sono le nuove iniziative che ha in mente per il suo mandato?
Il WWF è una struttura consolidata fatta da volontari, staff, guardie. Una struttura nella quale non c’è nulla da inventare: proseguire nel percorso tracciato da chi mi ha preceduto sarà fondamentale. Del resto la gestione spetta principalmente al Consiglio Nazionale nella sua interezza e non da chi di volta in volta è chiamato a dirigerlo. Bisogna tuttavia aggiungere che, certamente, ogni presidente ha le proprie personali caratteristiche che ne influenzano inevitabilmente il mandato. Nella gran parte della mia vita professionale ho lavorato come giornalista professionista, ma contemporaneamente ho coltivato le mie passioni per l’ambiente: mi sono occupato e mi occupo tuttora di erpetologia e ittiologia. In altre parole sono un naturalista ed è ovvio che per me la Natura, con l’iniziale maiuscola, dev’essere sempre in primo piano, anche e soprattutto nella mia attività nel WWF. Ieri da attivista e da guardia volontaria (attività che continuo a svolgere), oggi anche da presidente.
Come pensa si possa conciliare oggi ecologia e realtà industriale, quando tutti affermano che la sostenibilità è ancora troppo costosa?
Questa domanda contiene un equivoco di base: la sostenibilità può essere forse “troppo costosa” se i costi continuiamo a misurarli esclusivamente in termini economici, ma questo metro non possiamo più permetterci di usarlo. Quello che gli scienziati e gli ambientalisti pronosticavano già da decenni è ormai oggetto di cronaca quotidiana: temperatura media del pianeta in crescita, siccità e desertificazione intervallati da fenomeni meteorologici estremi. Se la realtà industriale nel suo complesso non si adegua in fretta virando verso una vera sostenibilità, il futuro che ci aspetta diventerà ancora più drammatico di quello che stiamo già oggi affrontando. In altre parole: conciliare ecologia e produzione oggi non è un optional di cui si può anche fare a meno, è una scelta obbligata per le industrie, così come anche per ciascuno di noi nel proprio piccolo.
In molti non capiscono perché tutelare la biodiversità è così importante. Ce lo spieghi…
Per molti anni siamo vissuti immaginando il mondo degli esseri viventi come una piramide nella quale alla base c’erano le piante, poi via via gli animali, a cominciare da quelli che arbitrariamente consideravamo inferiori, con l’uomo al vertice. Ci siano illusi che il pianeta fosse fatto per noi e che tutto ci fosse lecito. Ma la realtà è ben diversa: non siamo in cima a una piramide, ma all’interno di un cerchio nel quale ogni essere vivente ha il proprio ruolo per l’equilibrio complessivo. Ridurre la biodiversità, come stiamo facendo da molti anni attraverso le nostre azioni, comporta danni per l’intero ecosistema, che non è una cosa aliena, diversa da noi: dell’ecosistema facciamo parte come ogni altro animale e qualsiasi pianta, distruggendolo compiamo un’azione suicida anche nei confronti della nostra specie. Un esempio di immediata comprensione può essere quello degli impollinatori: danneggiandoli creiamo un danno immenso alle nostre stesse possibilità di sopravvivere.
Tutti, e non solo a causa delle difficoltà attuali, abbiamo bisogno di assumere uno stile di vita più responsabile: quali i suoi suggerimenti immediati?
Quelli di sempre: attenzione negli acquisti, non comprando cose inutili e meno che mai confezioni con plastica usa e getta; far durare gli oggetti il maggior tempo possibile, abbandonando per sempre la logica consumistica che ci ha condizionato, quanto meno nel mondo occidentale, negli ultimi decenni. Per telefonare non c’è alcun bisogno di avere a disposizione l’ultimissimo modello rottamando quello che abbiamo comperato pochi mesi fa, e questo vale per qualsiasi altra apparecchiatura. Un aspetto particolare riguarda i trasporti: meno auto private e usate solo quando serve, con preferenza per il trasporto pubblico, che però deve funzionare, e qui le responsabilità individuali si sommano a quelle di coloro che di volta in volta scegliamo per gestire la cosa pubblica.
Che differenza di approccio all’ecologia nota tra giovani e persone più mature? E come migliorare la situazione?
Non vorrei generalizzare, perché ci sono persone di tutte le età consapevoli e impegnate nella tutela dell’ambiente, così come troviamo giovani e persone adulte (in questo caso, mi perdoni, ma non userei l’espressione “più mature”) che assurdamente considerano l’ecologia una moda o un capriccio e non una necessità assoluta. Fatta questa premessa le dico che tra le giovani generazioni si sta sviluppando una consapevolezza importante: le ragazze e i ragazzi che in tantissimi scendono in piazza quasi ovunque nel mondo, per chiedere alla politica di non derubarli del loro futuro, rappresentano una grande speranza per tutti noi. Vorrei però dare un consiglio a questi giovani. Scioperare, sfilare, protestare va benissimo, ma è solo una parte delle cose da fare: là dove è possibile, nei Paesi in cui c’è democrazia, bisogna anche andare tutti a votare, scegliere le persone che ci governeranno tra quelle più attente al clima e al futuro del pianeta, e anche impegnarsi in prima persona, candidarsi, per creare nel prossimo futuro una classe dirigente migliore di quella che le ultime generazioni, compresa la mia, sono state capaci di esprimere. Visti i risultati noi abbiamo fallito. Non basta denunciarlo, occorre darsi da fare per sostituirci con persone migliori di noi. È urgente ed è certamente possibile.
Bill Gates, il fondatore di Microsoft, già anni fa individuava tra i grandi drammi che l’umanità sarà chiamata ad affrontare le pandemie e i disastri ecologici. Dopo la pandemia cosa dobbiamo aspettarci?
Non solo Bill Gates: si parla di lui perché in questo strano pianeta spesso solo le persone conosciute, che appaiono in Tv o dilagano sui social, hanno grande seguito. Eppure dagli studiosi e dagli ambientalisti ci arrivano da tempo ammonizioni e previsioni che non sono basate su una palla di vetro, ma su evidenze scientifiche ormai consolidate. Lei ha presente il libro Spillover. L’evoluzione delle pandemie? In quel testo si trova un quadro sorprendentemente esatto di quel che è accaduto con il Covid. L’autore, David Quammen, un divulgatore scientifico, quel volume lo ha pubblicato nel 2012! La pandemia è (mi piacerebbe dire “è stata”, ma in realtà siamo tuttora costretti a conviverci) il risultato dei nostri errori: continuiamo a devastare la natura, a comportarci da insaziabili predatori e il danno che facciamo all’ambiente finisce col coinvolgere anche la nostra specie. Siamo certamente ancora in tempo a salvarci, noi stessi, non il pianeta che se la caverebbe ottimamente anche senza la specie umana, ma senza un deciso cambio di passo, di ciascuno di noi e dei governi che ci rappresentano, è difficile poter essere ottimisti.
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