Nel suo libro, Luca Nannipieri tratteggia il complesso rapporto tra Napoleone, spietato condottiero a caccia di opere d’arte, e il Canova, a disposizione del potere con il suo immenso talento. Ma il vero protagonista del romanzo è un altro personaggio…
Con la chiusura dell’anno canoviano, promosso in occasione del bicentenario della morte del sommo scultore, intervistiamo lo storico dell’arte e “inviato” di Striscia la notizia, Luca Nannipieri, che ha da poco pubblicato un romanzo storico che lo vede protagonista.
Già la prima frase del romanzo e del suo Napoleone è durissima «le briciole (inteso come opere d’arte minori, n.d.r.) lasciamole ai topi». Il suo Napoleone è ossessionato dal saccheggio delle opere d’arte più importanti…
Napoleone ha semplicemente fatto quello che ai tempi si faceva: chi vinceva comandava e prendeva tutto ciò che voleva. Lui però, fin da quando era console, aveva chiaro un obiettivo: Parigi doveva diventare la capitale del mondo. E per diventarlo doveva divenire la capitale dello spirito del mondo. Da lì prende l’avvio la più grande sistematica requisizione di opere d’arte della storia. Un numero impressionante di capolavori, dall’Europa e dal Mediterraneo, vennero portati sul lungo Senna in quello che poi divenne il Louvre. La collezione, il luogo dove veniva conservato quanto di più grande l’uomo avesse fatto dalle origini della sua esistenza. Il museo di arte totale.
Napoleone lo fece per primo, ma tutti i grandi musei nati dopo sono napoleonici, secondo la regola del “voglio il meglio del meglio”. Così sono stati creati i musei americani oppure, oggi, quelli in Medioriente. Napoleone lo fece partendo dall’Italia, da dove fece portar via un numero impressionante di manufatti. Da lì parte il mio romanzo.
Lei ha scritto diversi romanzi. Ci dica come uno storico si trasforma in un romanziere?
Il saggio ha il dovere della fedeltà storica, il romanzo no. Il romanzo deve essere verosimigliante, ma può permettersi di perlustrare il nostro cuore, la nostra fantasia, la nostra immaginazione, i nostri desideri. E quindi entrare dentro Canova, dentro Napoleone, dentro la Rivoluzione francese, e dentro quello che è successo subito dopo in Francia, in Europa, nel mondo, facendoci entrare anche nella contemporaneità del nostro tempo e delle nostre domande. Questo è il motivo per cui ho scritto un romanzo che parla di Canova e di Napoleone, della nascita del Louvre, ma di cui protagoniste sono due donne. Cosa che non sarebbe stata possibile se avessi scritto un saggio. Ecco la necessità del romanzo: l’infedeltà.
C’è anche un ovvio cambio di stile espressivo. Perché così spesso gli storici e i critici d’arte sono difficili da leggere per i non specialisti?
Perché si rinchiudono in un linguaggio con cui parlano con altri specialisti. Invece, compito di uno storico dell’arte e di chi scrive di arte è quello di arrivare a più persone possibili, ovviamente rispettando la materia. Personalmente, sia scrivendo sia in televisione accetto tutte le contaminazioni, proprio per arrivare a tutti coloro che amano l’arte. Ricordo sempre quando, in una delle mie prime rubriche su RaiUno, il regista, vedendomi un po’ emozionato, mi disse: “parla come se parlassi con tua nonna”. Mia nonna ha 96 anni, mi ascolta tuttora e sa che quando sono in Tv parlo a lei. Più complesso è quando si scrive un romanzo, con tutta la nobiltà della lingua italiana e tutto quello che si portano dietro i termini letteratura e romanzo, però l’obiettivo di raggiungere quante più persone possibile resta prioritario nel mio lavoro.
Il suo Canova è tutt’altro che un “cuor di leone”, tenta di salvare il Laocoonte ma fallisce, a Parigi è del tutto sottomesso a Napoleone, appena può si ritira nel suo studio romano, un rifugio sicuro. Un carattere schivo, incapace di esporsi, nonostante fosse ritenuto il più grande artista del mondo, con commissioni dai più importanti personaggi d’Europa…
Io non ho voluto descrivere un Canova diverso da quello che era, non ho voluto farne un eroe alla Falcone e Borsellino che combatte contro il potere. Canova era così, questa è la verità. Per ottenere commesse da Napoleone bisognava esserne sudditi. Dell’imperatore abbiamo un’immagine troppo edulcorata: era una persona che ha fatto fosse comuni. Certo ha realizzato progetti giganteschi, a cominciare dalla costruzione del Grand Louvre, ma sostanzialmente rimane un carnefice. Uno che diceva: “se non sei d’accordo con me arrivano le baionette”. Canova accondiscese al suo potere, fece vari mezzibusti e non solo per i suoi familiari e i suoi sottoposti, evitò solo di diventare responsabile delle Belle Arti a Parigi, perché preferiva rifugiarsi a Roma, nel suo studio in via delle Colonnette, a produrre capolavori finissimi. Se di Napoleone conosciamo il condottiero e il genio della guerra, ma non il dittatore, di Canova conosciamo il grande scultore, ma non la sua natura pavida, servizievole, il suo essere un surfista, si direbbe oggi, sulle onde del potere.
Il vero eroe del libro è Antoine Quatrèmere de Quincy, che lotta per le sue idee, tra cui quella che aborre come furto sciagurato il saccheggio delle opere d’arte di altri popoli, e per salvare la donna amata, al contrario del pusillanime Canova…
Il filosofo e critico d’arte de Quincy scrisse nel 1796-’98 le Lettere a Miranda, la prima opera che afferma che “non bisogna razziare, perché il vero museo di Roma non è il Laocoonte, non è la Cappella Sistina, le singole opere, ma è la stratificazione di quel colonnato, quelle pietre, quei palazzi, quei capitelli, l’insieme di quel patrimonio”. L’unico a dirlo a fine ’700, anche se in scritture quasi private.
Poiché sono convinto che quando noi maschi diciamo che la storia è stata fatta dagli uomini non diciamo affatto la verità, le protagoniste che portano avanti le idee di Quatremère sono due donne. Si rifanno a quelle donne che, contrariamente alle schiere di maschi pronti a esaltare Napoleone in tutti modi, in maniera sotterranea, nell’anonimato della loro condizione di donne di corte o donne di casa, hanno fatto sì che, tracciando un percorso di idee e di azioni, la restituzione delle opere d’arte potesse essere conclusa. Più della pavidità maschile fu il coraggio femminile a permettere il rientro di tante opere d’arte in Italia.
Lei sottolinea spesso il ruolo fondamentale delle comunità per la conservazione e la tutela di beni artistici e non solo. Quali azioni, magari semplici e immediate, possiamo mettere in campo come cittadini, ma anche come genitori e come nonni?
Le persone over già fanno un’azione incredibile. Girando l’Italia ho incontrato centinaia di associazioni e libere aggregazioni di persone che, molto più di ministeri, sopraintendenze, sottosegretari, si prendono cura, attenzione, amore, premura del patrimonio che è vicino a loro. Non i grandi capolavori, Michelangelo, Raffaello, tutti quelli che conosciamo e sono blindati e sorvegliati dalle telecamere, ma il patrimonio incredibile delle nostre piccole province, comuni, città, è in gran parte difeso, custodito, curato, dal piccolo oratorio, dalla pieve, dal museo di campagna, da nugoli di associazioni fatte in gran parte di persone, spesso non giovani, che sono importantissime. L’Italia da salvare è proprio quella, non l’Italia dei monumenti, è l’Italia di quelle persone che guardano quei monumenti e dicono loro: “io mi prenderò cura di voi”. Diceva Simone Weil: “L’amore è la durata dell’attenzione». È proprio vero: l’amore è la durata dell’attenzione di queste persone verso i luoghi che curano, che lasciano aperti, che permettono vi si creino progetti e attenzione. Fanno loro prendere vita e così possono essere condivisi e conosciuti anche dalle nuove generazioni.
IL LIBRO
«Mentre Napoleone conquista l’Italia, Antonio Canova scolpisce meraviglie che tutti conosciamo, “Amore e Psiche”, “Ebe”, “Le tre grazie”. Di lui s’innamora anche l’imperatore e gli offre molte commissioni, anche se butta via il bozzetto del suo ritratto nudo come un dio greco. Non solo racconto il rapporto tra Canova, che accetta che tantissimi capolavori vengano portati via dall’Italia, e Napoleone, ma anche la sua storia d’amore con Domenica, che però arriva a rifiutare di sposarlo. Quando iniziano le sconfitte dei francesi, prima la Russia e dopo Waterloo, lo scultore veneto riceve l’incarico di riportare in Italia parte delle opere razziate. Nel 1815 avviene la prima grande restituzione di opere d’arte della storia dell’umanità: Canova ne è l’artefice. Grazie a lui l’idea della tutela e del patrimonio inizia a diffondersi». Il romanzo che narra queste vicende e che porta in appendice elenchi impressionanti di saccheggi e riconsegne s’intitola Candore immortale. Antonio Canova, una storia d’amore, d’arte e di libertà nell’Europa infiammata da Napoleone ed è edito da Rizzoli.
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