Fermiamoci a riflettere. Lo dobbiamo alle vittime di soprusi, alle donne che hanno perso la vita per mano di un uomo. Lo dobbiamo anche a noi, perché noi siamo attori della società sempre, anche quando non siamo protagonisti e quando ‘quel fatto’ non ci tocca da vicino. C’è un esercito silenzioso, giorno e notte, al fianco di chi lotta e lo vogliamo raccontare
Le cronache di fine estate ci hanno sconvolti. La violenza sessuale commessa ai danni di una giovanissima, nella città di Palermo, a opera di sette giovani – uno anche minorenne all’epoca dei fatti – ha scoperchiato un vaso di soprusi, di angherie e di ingiustizia sociale. Subito dopo a squarciare il velo dell’omertà è stata la denuncia dei familiari di due cuginette di dieci e dodici anni, abusate da un branco di giovani più volte in un territorio di frontiera: il Parco Verde di Caivano, quella colata di cemento in provincia di Napoli lasciata ai margini della società (nello stesso parco, nel 2014, una bambina di soli sei anni è stata buttata già dal balcone dopo una violenza sessuale: quell’orco è stato condannato all’ergastolo). La violenza denunciata nel centro storico di Firenze, a giugno di quest’anno; quella in Alto Adige durante una festa di paese. E ancora quella avvenuta a Milano. E le violenze ripetute su due sorelle, minori, da parte del nonno, nell’omertà di un’intera famiglia che sapeva e non parlava. E chissà, mentre scrivo queste righe, quante ancora ne stanno accadendo. Per il Ministero dell’Interno, le denunce per violenza sessuale sono in aumento: dal 2020, anno in cui si è registrato il dato minore (4.497), l’incremento è stato significativo e si è attestato, nel 2022, a 5.991 eventi. Un approfondimento sulle vittime evidenzia, inoltre, che nel 2022, in linea con il passato, continuano a risultare predominanti le violenze di genere femminile (74%). Di queste, il 96% riguardano maggiorenni e l’88% è di nazionalità italiana. Il 2023 ha anche un record drammatico: quello dei femminicidi. Da gennaio a oggi se ne contano una novantina. Ne voglio ricordare una su tutte, Giulia Tramontano, aveva in grembo un bimbo di sette mesi.
La violenza di Caivano e quella di Palermo sono scolpite per sempre nell’animo di chi le ha subite, un graffio feroce che niente e nessuno potrà mai cancellare. Ma quelle violenze sono riprese anche dai cellulari degli aggressori, quei video registrati e usati come strumento di vanto e come arma di ricatto. Anche questo è un segno evidente di quanto le reti sociali debbano essere più strutturate, più incisive nella quotidianità delle giovani generazioni, spesso lasciate alla mercé delle loro fragilità. No, non basta mandare agenti in divisa a presidiare territori. Serve anche altro. Serve allargare lo sguardo per comprendere che il disagio è trasversale e ci riguarda tutti perché, prima di ogni cosa quello che va contrastato è la povertà. La povertà economica, la povertà sociale e valoriale, la povertà di informazione, di educazione sessuale (in Italia, rispetto alla gran parte dell’Europa, questa formazione non è una materia obbligatoria nelle scuole). Fermiamoci a riflettere. Lo dobbiamo alle vittime delle violenze, alle donne che hanno perso la vita per mano di un uomo. Lo dobbiamo anche a noi, perché noi siamo attori della società, sempre, anche quando non siamo protagonisti e quando ‘quel fatto’ non ci tocca da vicino – e non possiamo rivolgere altrove lo sguardo -. Siamo parte delle dinamiche sociali, delle relazioni, dei rapporti. Lo siamo come donne e come uomini, come mamme e papà, lo siamo come nonni. Ma anche come insegnanti, parroci, vicini di casa, amici. Tutti, dunque, abbiamo delle responsabilità e dei doveri. Noi di 50&Più vogliamo tenere alta l’attenzione su quanto sta accadendo. Vogliamo tenere accesi i riflettori sul contrasto alla violenza di genere. E lo faremo già dal prossimo numero di novembre, partendo dai dati ma anche – come siamo soliti fare, ormai – raccontando storie, soprattutto storie della gente comune e quelle di chi si schiera in prima linea per stare al fianco delle vittime, senza le luci della ribalta. Perché, vedete, c’è un esercito silenzioso che ogni giorno e ogni notte è al fianco di chi lotta e noi, nel nostro piccolo, lo vogliamo raccontare.
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