Il nuovo universo digitale dentro cui siamo tutti destinati a trasferirci in forma di avatar è ormai alle porte, con il suo carico di meraviglie e pericoli, di novità e dubbi. Ne parliamo con l’autore del volume “Metaverso. Noi e il web 3.0”
Il curriculum di Lorenzo Montagna è di assoluto prestigio, sia come manager per Altavista, ViaMichelin e Yahoo!, sia come divulgatore sul palco dei più importanti eventi internazionali dedicati a “il futuro come potrebbe essere”, sia come consulente, ruolo che svolge per il Politecnico di Milano, per PwC, per VRARA, sempre dedicandosi alle tecnologie emergenti. Il suo ultimo libro è intitolato Metaverso. Noi e il web 3.0 e, come i precedenti, ha il pregio di non essere rivolto esclusivamente agli addetti ai lavori, ma di farci capire cosa questa rivoluzione digitale in atto comporterà per tutti noi.
Lei presenta il metaverso come un punto di accesso al futuro che mette le persone al centro. In molti avrebbero dei dubbi su questa affermazione…
La tecnologia funziona solo nel momento in cui dà un servizio, dà valore alle persone, altrimenti finisce per essere fine a sé stessa. Metaverso è stata la parola più ricercata su Google lo scorso anno. Dobbiamo immaginarlo semplicemente come un nuovo mondo digitale, dove tutti devono avere dei visori e tutti sono più o meno alienati dal reale. È l’evoluzione di Internet, che è nato con i processori, poi è passato sui telefonini e adesso sta entrando anche nella nuova dimensione degli occhiali, che possono essere trasparenti e permettere di vedere con l’aggiunta di dati e notizie (la realtà aumentata, RA) oppure chiusi, i visori, che portano in un altro mondo, sempre più digitale (la realtà virtuale, RV). Il nuovo mondo digitale sarà basato su RA e RV e avrà le persone al centro, perché il metaverso è un luogo di per sé popolato di persone, in forma di avatar, che si muovono in spazi e interagiscono tra di loro e con oggetti. Una realtà dove non scrolleremo per cercare contenuti, non cliccheremo, ci saremo proprio dentro.
Chi ha un figlio o un nipote dai sei anni in su, sa che, una volta preso in mano un tablet o un cellulare, è pressoché impossibile toglierglielo senza lamenti, pianti, litigi, in una sorta di progressiva dipendenza. Se già oggi è così, come sarà il loro futuro?
Questo è uno dei temi molto discussi. Più si va avanti più la tecnologia diventa pervasiva e invasiva, consuma buona parte della nostra attenzione e del nostro tempo. Il metaverso sarà ancora più empatico e divertente ed esiste il rischio che le persone si appassionino così tanto a un mondo virtuale da uscire, un po’ come succede nei film di fantascienza, da quello reale. Anche parlando con psicologi e con esperti, mi sto rendendo conto però che, a differenza del video di fronte al quale siamo cresciuti noi (la tv o lo schermo del pc), è difficile rimanere per molto tempo collegati a un visore, anche se stanno diventando sempre più leggeri ed ergonomici. Richiedono molta più attenzione, quella che gli psicologi in gergo chiamano “la densità” e la soglia di concentrazione sono altissime, fai solo quello (non come mentre si guarda la tv). C’è un limite dovuto alla nostra attenzione e all’essere “chiusi”. Inoltre, spesso queste attività richiedono impegno fisico. Durante il Covid ci sono stati successi clamorosi, ad esempio, di app per ciclisti che si sono spostati nel metaverso, in luoghi fisici totalmente ricreati in cinematografia, percorrendo il Giro d’Italia o altri lunghissimi itinerari. Fisicità e concentrazione ci impediranno di stare ore nei mondi digitali, permettendoci solo di vivere esperienze che hanno senso, significato, ma dentro le quali comunque dobbiamo spendere una capacità di attenzione così approfondita che oggi stiamo perdendo.
Gli esperti sono in continuo dibattito fra loro. Saremo di fronte a una serie di metaversi vari e complessi oppure a “un unico universo dove i sogni diventano realtà”, come afferma lei?
Vero, se ne sente parlare al singolare e al plurale. È più giusto farlo al singolare, perché rappresenta il concetto di un mondo virtuale evoluto. È un po’ come Internet, che è uno solo, è l’infrastruttura, i “cavi” attraverso cui passa tutto un mondo di dati che chiamiamo web, i siti, la posta, le applicazioni. Si parla di metaversi, perché ci saranno mille ramificazioni, come le varie nazioni sulla Terra, però il pianeta è uno solo ed è il metaverso. E in futuro si arriverà molto vicino al sogno. La tecnologia è un po’ una magia. Quando venne presentato l’arrivo di una locomotiva agli albori del cinema la gente scappava dalle poltrone e oggi abbiamo in tasca la più grande biblioteca, emeroteca, cineteca della storia: tutto viaggia a una velocità impressionante. La tecnologia che noi viviamo rimane però dietro uno schermo, solo quando arriverà al punto di circondarci e ci farà andare da un’altra parte diventerà autentica magia. La differenza tra realtà e fantasia sarà sempre minore, a volte potrà essere distopia, a volte intrattenimento straordinario. Sognare a occhi aperti vuol dire anche fare cose abbastanza semplici, ad esempio la RV ci può far vedere contenuti girati nell’altra parte del mondo, magari in posti inaccessibili e immergerci dentro. Google sta già girando in questo modo film di tutti i siti Patrimonio dell’Umanità, sia monumentali che paesaggistici, per preservarli per il futuro e le prossime generazioni. Emergency fa vedere dove sta lavorando, fa conoscere chi costruisce ospedali, senza farci muovere da casa. Ci potranno essere finalità sociali, commerciali, turistiche: virtuale deriva dal latino virtus, è una virtù poter vedere dall’altra parte del mondo. Con il Covid c’è stata una grande accelerazione: ci sono Paesi che stanno lavorando sulla virtualizzazione dei loro ambienti per renderli disponibili anche a chi magari non riesce a muoversi facilmente sia per età, per possibilità economiche o per disabilità. È decisamente un mondo che fa sognare.
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