I primi mesi di quest’anno stanno dimostrando che la nuova tendenza del benessere non è più la cura dell’aspetto esteriore, la messa in forma, ma il miglioramento dei parametri di salute, puntando sempre a una maggiore longevità.
Lo dice anche il report 2023 Wellness Index di MindBody. Le persone, soprattutto dopo la pandemia, sono più disposte a investire tempo e risorse economiche in protocolli che migliorino le proprie condizioni.
Ma qual è il segreto delle persone più longeve?
Secondo gli studiosi dell’Albert Einstein College of Medicine di New York, superati i cento anni, il tasso di mortalità inizia a crescere rapidamente, fissando il limite della longevità umana intorno ai 125 anni. I ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma sono giunti invece alla conclusione opposta. Il tasso di mortalità umana cresce in modo esponenziale fino agli ottant’anni, per poi rallentare e stabilizzarsi superati i 105 anni.
In pratica, se dopo una certa età il tasso si stabilizza, la longevità diventa un fattore matematico. Se dieci persone raggiungono i 110 anni, hanno spiegato i ricercatori, e il loro rischio di morire entro l’anno si stabilizza al 50%, vorrà dire che cinque di loro arriveranno a 111, due o tre a 112, uno o due a 113, nessuno a 115. Dunque per avere una possibilità che qualcuno raggiunga i 115 anni bisogna raddoppiare il numero di coloro che arrivano a 110. In pratica, secondo gli studiosi, il limite di longevità dipenderà sempre da quante persone sono sopravvissute nell’anno precedente fra gli ultracentenari.
Le banche dati sui centenari
Lo Human Mortality Database è considerato il migliore repertorio di dati sulla mortalità, ma raggruppa gli over 110 in un’unica categoria. Esiste anche l’International Database on Longevity, un grande contenitore di dati, provenienti da 15 paesi, che include quelli di persone vive e decedute che hanno raggiunto o superato i 105 anni. L’inasprimento delle norme sulla privacy in molti stati ha però reso la copertura più difficoltosa e alcune nazioni hanno addirittura ritirato i dati che avevano già reso disponibili in passato. Il Giappone, ad esempio, ha limitato le informazioni accessibili pubblicamente e in fatto di longevità offriva un ottimo campo di studio dato che detiene il record mondiale di centenari pro capite.
Gli studi sulla longevità nella storia
I primi tentativi di calcolare i limiti della longevità umana risalgono al 1825 grazie a Benjamin Gompertz. Il matematico britannico analizzò i registri anagrafici delle città di Carlisle e Northampton per cercare di capire come il rischio di morte si modificava in base all’età. Secondo i suoi studi, con l’avvicinarsi dei trent’anni, il tasso di mortalità aumentava costantemente anno dopo anno, ma all’età di 92 anni le probabilità di decesso si stabilizzavano attorno al 25%. Gompertz ne dedusse che l’invecchiamento umano non avesse un limite massimo, almeno a livello teorico.
Circa un secolo dopo, lo studioso francese di demografia e longevità Jean-Marie Robine contribuì a certificare l’età della persona più anziana mai vissuta. Si trattava di Jeanne Calment, una donna nata nel 1875 e morta nel 1997, all’età di 122 anni.
Jay Olshansky, epidemiologo dell’Università dell’Illinois a Chicago, afferma che questo sia un’eccezione statistica, e che invece i supercentenari siano pochi perché il limite della longevità è stato raggiunto. E non è detto che la vita umana continuerà ad allungarsi. Indicare gli ultracentenari come una possibilità universale è per lui fuorviante. “Viviamo già vite lunghissime e più che concentrarci sulla durata dobbiamo pensare a come aiutare le persone a vivere in modo più sano, pensando alla durata della salute e al mantenimento delle capacità funzionali”, ha spiegato.
Misurare il tasso di fragilità
Un modo per farlo potrebbe essere quello di misurare non il tasso di longevità, ma quello di fragilità, utilizzando fattori come l’isolamento sociale, la mobilità personale e le condizioni di salute. Nel Regno Unito questi parametri sono utilizzati per tutti i cittadini over 65, per aiutarli a conservare più a lungo possibile l’autonomia ed evitarne le principali cause di ricovero, ossia le cadute e le reazioni avverse ai farmaci.
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