La diffusione del Coronavirus ci interroga su una serie di cambiamenti in atto, che riguardano il nostro stile di vita e che sicuramente segneranno il prossimo futuro sotto molti punti di vista.
Il rischio di contagio rapido ha portato a misure di contenimento, gradualmente tradotte in prescrizioni che limitano i comportamenti: dalla chiusura delle scuole si è passati alle restrizioni sugli spostamenti, prima in alcune zone del Nord Italia e poi in tutto il Paese.
Come ha dimostrato per prima la Cina, il contagio si rallenta fino a invertire la tendenza solo se si rispettano una serie di accorgimenti, se si esce di casa quando è indispensabile, se si viene a contatto con meno persone possibili. Isolarsi diventa un gesto per preservare se stessi e la collettività, e nel mantenere le distanze gli uni dagli altri torniamo ad essere una società che deve guardare al bene comune come unica soluzione per superare la crisi.
L’epidemia sta mettendo in discussione anche i modelli produttivi figli della globalizzazione, mostrando le criticità del decentramento e degli scambi commerciali globali, e non si può escludere che l’insorgenza di nuovi virus come questo possa anche essere conseguenza indiretta dei cambiamenti climatici e dell’aggressione industriale.
Secondo Li Edelkoort, trendsetter di fama internazionale, letteralmente anticipatrice di tendenze globali, «il virus avrà un profondo impatto culturale ed economico, le persone dovranno abituarsi a vivere con meno beni e viaggiare meno, poiché il virus interrompe le catene di approvvigionamento globali e le reti di trasporto. Ma se l’epidemia porterà a una recessione di una grandezza mai sperimentata, alla fine permetterà all’umanità di ripristinare i suoi valori». Edelkoort parla anche di “quarantena dei consumi” come prossima tendenza che potrebbe caratterizzare la fase post virus, quando avremo fatto l’abitudine a fare a meno di qualcosa di superfluo.
Nello stesso tempo rileva come lo stop forzato avvenuto in primis in Cina abbia contribuito in due mesi ad abbattere le emissioni di carbonio e l’inquinamento industriale. Insomma, l’evento di crisi ci indica una strada alternativa a quella percorsa finora, dove il rallentamento e la decrescita possono produrre un ambiente migliore per tutti.
L’emergenza sanitaria diventa anche un momento fondamentale per misurare la tenuta politica e sociale del Paese, al quale vengono chiesti sacrifici in termini di mobilità e di lavoro, con le chiusure degli esercizi commerciali non essenziali, e allo stesso tempo mette a dura prova il sistema ospedaliero e i professionisti che vi operano, e diventa cartina al tornasole delle scelte politico-economiche approntate nei periodi precedenti.
Ad esempio, se in Italia possiamo vantare un Sistema Sanitario Nazionale che garantisce a tutti l’assistenza, è pur vero che negli ultimi anni si è assistito a tagli importanti in questo ambito. Secondo il report della Fondazione Gimbe del settembre 2019, che in campo sanitario svolge attività di ricerca e formazione, il finanziamento pubblico è stato decurtato di circa 37 miliardi in dieci anni, con una perdita stimata di circa 70mila posti letto.
Ciononostante, il personale sanitario italiano sta facendo da apripista in Europa nella gestione dell’emergenza. In una lettera inviata da alcuni esperti italiani di terapia intensiva alla Società Europea di Medicina, poi ripresa da The Independent, si avvertono i colleghi europei di prepararsi alla gestione di un numero crescente di casi, il 10% dei quali, in media, ha bisogno di cure intensive.
E si consiglia di identificare preventivamente le strutture più idonee a gestire i picchi iniziali di contagio. Insomma dall’esperienza s’impara, e soprattutto si condivide, come già è stato appreso dalla Cina e dall’applicazione rigida dei protocolli di quarantena con gli effetti positivi che ha prodotto.
La storia dell’uomo, sin dalle origini, è stata attraversata da varie ondate epidemiche. La peste del Trecento portò con sé grandi cambiamenti nell’economia, nella geopolitica e persino nella religione. Solo nel ventesimo secolo si sono verificate diverse pandemie influenzali: nel 1918 si stima che la Spagnola abbia colpito circa un terzo della popolazione mondiale, e che poi un nuovo virus, derivato da quello comparso nel 1918, abbia provocato l’Asiatica del 1957, per la quale solo le persone con più di 70 anni avevano difese immunitarie.
Il ceppo fu studiato a Melbourne, Londra e Washington e portò ad una larga diffusione di infezioni batteriche polmonari secondarie. Nel 1968 il Sud est asiatico fu nuovamente colpito da pandemia, con l’influenza Hong Kong, che arrivò anche negli Usa con tassi elevati di mortalità, al contrario dei casi che si presentarono in Europa.
In ognuno di questi momenti storici sono state implementate la ricerca e la collaborazione scientifica, e modificati dei comportamenti individuali e collettivi. Secondo Azeem Azhar, analista esperto in previsioni e cambiamenti sociali attraverso il monitoraggio dei dati digitali, anche in questo caso ci saranno trasformazioni importanti nei prossimi mesi: i dati scientifici frutto di analisi e studi saranno sempre più condivisi e diventeranno “open source” a livello globale, in modo da mettere in condizione gli scienziati di tutti i Paesi di usufruirne e lavorarci per continuare a fare ricerca.
La stessa quarantena, secondo Azhar, diventerà sempre più digitale ma in chiave positiva, con la formazione di un sistema di accreditamento sociale che sarà in grado, presumibilmente, di selezionare le informazioni più attendibili dal web. Anche le tecnologie della genomica saranno implementate, e sequenziare le informazioni genetiche diventerà un processo sempre più veloce.
Durante questo 2020 si viaggerà molto meno, e a beneficiarne saranno le compagnie che si occupano di comunicazioni a distanza e di e-commerce: Azhar fa l’esempio di Zoom, società che lavora nel campo delle applicazioni per videoconferenze, che nel 2019 aveva 1,99 milioni di utenti nel mondo, e in questi primi mesi del 2020 ha già superato i 2,22 milioni di account; per quando riguarda il commercio elettronico, l’analista sottolinea come già nel 2002 l’epidemia di Sars aveva contribuito ad espanderlo in Cina, e come oggi con la maggiore richiesta di smart working, l’industria tecnologica cinese potrà beneficiare di un incremento nelle vendite.
Al contrario, il settore viaggi subirà tagli pesanti: basti pensare al crollo degli spostamenti già solo in Cina e in Italia per avere una previsione di un 15% in meno dell’intero guadagno annuale. Infine, con il rallentamento delle interazioni economiche globali, si tornerà a guardare alla produzione quanto più possibile locale, soprattutto in fatto di generi alimentari ed energia.
In ogni caso, più i nostri attuali sistemi si riveleranno vulnerabili, più saremo costretti ad adattarci e reinventarci rapidamente, come d’altronde la storia ci ha già insegnato.
di Manola Irroia
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