Sembrava un fenomeno ineluttabile quello del progressivo invecchiamento della popolazione. Anni di vita guadagnati e nella maggioranza dei casi in salute. Ma in poco tempo, questo dato ormai certo, è cambiato.
Tutto a causa del Covid-19. Il suo impatto sulla salute sembra stia rallentando, ormai abbiamo imparato a difenderci. Dietro di sé, però, ha lasciato il vuoto, incolmabile, di persone che non ci sono più. Soprattutto anziani, genitori e nonni, il cui patrimonio affettivo e sociale non è quantificabile.
Lo è invece l’impatto che tanti decessi, troppi, hanno ora sul patrimonio demografico del nostro Paese. Una situazione che l’Istat ha “calcolato” in Covid-19 e scenari di mortalità: un’analisi a livello provinciale. Il risultato è che gli anni di futuro si sono assottigliati, la speranza di vita alla nascita e dopo i 65 anni di età, si è accorciata soprattutto nelle province del Nord Italia.
In particolare, in quelle maggiormente colpite dal Covid-19, soprattutto nel Nord-Ovest e lungo la dorsale appenninica. Qui, si passerebbe da una speranza di vita alla nascita di quasi 84 anni, a una di circa 82. Questo mutamento, impensabile in epoca pre-Covid, è decisamente minore, e nella maggior parte dei casi trascurabile, nelle province del Centro e del Sud. Addirittura, in alcune province della Sicilia l’aspettava di vita è in miglioramento.
Speranza di vita dopo i 65 anni di età: ritorno al passato
In epoca pre-covid, in tutte le Province del Nord e parte di quelle del Centro un individuo al suo 65° compleanno poteva aspettarsi di vivere mediamente per altri 21 anni. Ora, con gli effetti della pandemia, tale durata, senza essere troppo pessimisti, scenderebbe a circa 19. È una situazione comune nelle dieci province più colpite: Bergamo, Cremona, Lodi, Brescia, Piacenza, Parma, Lecco, Pavia, Mantova, Monza e Brianza. A Bergamo si torna indietro di circa 20 anni e, nello scenario “pessimista” nella provincia di Bergamo e Cremona, la speranza di vita alla nascita si riduce di oltre 5 anni e di 6 se si misura dopo il 65° compleanno.
L’impatto sulle nascite: effetto Černobyl
È ormai nota la costante diminuzione delle nascite. Nel 2019 il totale dei nati in Italia ha segnato, per il settimo anno consecutivo, un nuovo record negativo: il valore più basso mai registrato in oltre 150 anni di Unità Nazionale. Nel 2019 sono state 435mila le nascite, 142mila in meno sul 2008. Cosa accadrà nel 2020/2021? La situazione non è proprio rosea. Anzi, potrebbe verificarsi l’effetto Černobyl.
La nube tossica del disastro nucleare del 26 aprile del 1986, raggiunse l’Italia tra il 2 e il 4 maggio. «Chi ha vissuto l’esperienza dei primi giorni del maggio 1986 e allora ha seguito con apprensione la comparsa di nemici invisibili scarsamente conosciuti – come il Cesio, il Plutonio o lo Stronzio – non può non ritrovare nelle angosce da Coronavirus di questi giorni un preoccupante déjà vu. Non dovrebbe dunque stupirsi se ci si immagina che, così come accadde allora, anche oggigiorno l’incognita di un futuro denso di incertezze possa frenare le scelte di riproduttività nella popolazione italiana», scrive il presidente dell’Istat e demografo Gian Carlo Blangiardo in Scenari sugli effetti demografici di Covid-19: il fronte della natalità. Le statistiche riferite e quegli anni documentano come nove mesi dopo la grande paura per l’arrivo della nube di Černobyl le nascite in Italia abbiano subito un certo ribasso con un forte calo a febbraio 1987 del 10% rispetto al biennio precedente.
Meno 10mila nati nel futuro 2020/2021
Quale sarà l’effetto della pandemia sul futuro immediato? Non tenendo conto del Covid-19, la stima delle nascite per il 2020 è di 432.538 nati; mentre per il 2021 la forbice va da un minimo di 422.420 nati (scenario basso) a un massimo di 432.689 (scenario medio-basso). Se invece, si considerano le conseguenze del Covid-19 della “paura e incertezza” i nati nel 2020 sarebbero 428.375 (6.625 in meno rispetto al 2019) e l’effetto Covid-19 inciderebbe per lo 0,84%. Nel 2021 la frequenza di nati scenderebbe a 416.499 nell’ipotesi di minimo e a 427.356 in quella di massimo e l’effetto Covid-19 sarebbe responsabile di un ulteriore calo di natalità dell’1,3%. Complessivamente nel 2020/2021, l’impatto della pandemia sulla riduzione delle nascite dovrebbe contenersi in poco meno di 10mila neonati.
La situazione risulterebbe ancora più difficile se agli effetti di “paura e incertezza” si dovessero aggiungere le “difficoltà di natura materiale” (legate a occupazione e reddito): i 435mila nati del 2019 e i 428mila ipotizzati per il 2020, scenderebbero a circa 426mila nel 2020, per poi ridursi a 396mila nel 2021, uno scenario che sarebbe avvenuto solo nel 2032 nell’ipotesi più pessimistica.
«Il crollo della natalità in Italia – scrive Blangiardo – è un fenomeno strutturale ampiamente documentato dai dati statistici. In tale contesto l’accelerazione post Covid-19 rappresenta un’aggravante della cui entità è certamente utile avere un ordine di grandezza, quanto meno per poterle assegnare un adeguato grado di priorità nelle azioni che dovranno portare, una volta fuori dall’emergenza, a un ritorno alla normalità».
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