Valentina Tomirotti e Michele Sanguine dalle pagine Instagram, raccontano la loro disabilità e lo fanno attraverso l’ironia e la comicità. «Siamo persone che hanno voglia di divertirsi».
La piazza vera, a volte, è una piazza virtuale, è la piazza dei social, perché è qui che più facilmente iniziano alcune “rivoluzioni”. Quella per l’inclusione, per esempio, è una battaglia che trova nei social un luogo privilegiato: lo dimostrano il gran numero di pagine dedicate alla disabilità sui principali social, come pure i tanti seguitissimi profili di utenti con diverse disabilità – fisica, sensoriale, cognitiva, mentale – oppure di caregiver familiari, persone che tutto il giorno e tutti i giorni si prendono cura, nella maggior parte dei casi, di un figlio o di una figlia con disabilità. Forse perché sui social non ci sono barriere architettoniche e ci si muove agevolmente, anche se si sta in sedia a ruote; non ci sono barriere sensoriali, o almeno è facile superarle, per essere attivi e aggiornati anche se non si può vedere o non si può sentire, o non si può usare la parola. Sarà per questo che, sui social, la disabilità si mostra per quella che è: una condizione umana, che non rende né martiri né eroi né speciali, ma che soprattutto non può certo esaurire l’identità di una persona. “Non siamo la nostra disabilità” è una delle dichiarazioni maggiormente condivise dalle persone con disabilità. Ed è forse da questa consapevolezza che inizia la cultura dell’inclusione.
In che modo e in che misura i social contribuiscono a costruirla, questa cultura, a superare gli stereotipi sulla disabilità? Lo abbiamo chiesto a Valentina Tomirotti, in arte Pepitosa, “giornalista a rotelle”, fondatrice e presidente dell’associazione di turismo accessibile “Pepitosa in carrozza”. E a Michele Sanguine, noto sui social come Toro Seduto. I loro volti e le loro voci raggiungono ogni giorno centinaia di migliaia di persone, raccontando la vita di una persona con disabilità, dal punto di vista della persona, appunto, e non della sua disabilità.
«Ho iniziato a usare attivamente i social in occasione del lancio del mio progetto fotografico ‘Boudoir disability’, su sessualità e disabilità. Da allora non mi sono più fermata: diritti civili, diversity, inclusione e accessibilità sono i punti cardine della mia vita, sia offline che online – ci racconta Valentina Tomirotti, che tra i social preferisce “quelli in cui si mette la faccia”, nel vero senso della parola: quindi Instagram, tanto le stories quanto i reel -. Coccolo la mia community come fosse una seconda famiglia e pubblico contenuti ogni giorno. Non è mai un peso, ma una quotidianità, una bella routine per me». Se inclusione e accessibilità sono i principali temi per cui “Pepitosa” si batte, la disabilità non è certo l’unico argomento di cui si occupa sui social: «Non mi piacciono le persone con disabilità che usano i social come vetrina di pietà: non fanno altro che alimentare gli stereotipi in cui la nostra società ancora galleggia quando si parla di noi. Al vittimismo, preferisco l’ironia e la provocazione. Noi non siamo la nostra disabilità e non possiamo parlare solo di questo, sui social come nella vita di ogni giorno. Io mostro e narro la disabilità in modo diverso, sfruttando la grande opportunità che i social mi offrono: farmi vedere e farmi sentire, senza che altri parlino di me o mostrino la disabilità che vedono in me». Visitate il suo profilo Instagram (https://www.instagram.com/valetomirotti), per capire quanto i social possano diventare strumenti di denuncia, di narrazione e di rivoluzione.
Oppure, provate a cercare il profilo di Michele Sanguine (https://www.instagram.com/torosedutoreal), nato 39 anni fa con una grave malattia, la distrofia di Duchenne, che certamente gli rende la vita più complicata, ma che non è mai riuscita a fermarlo. Conosciuto come Toro Seduto, Sanguine è rapper, ideatore ed organizzatore di “Gran Premi in carrozzina” (“Wheelchair Gp”), nonché attore e regista della webserie Nonno seduto. Non crede che i social possano cambiare il mondo, ma forse possono cambiare, attraverso il racconto e le immagini, la visione della disabilità e correggere i luoghi comuni e le visioni parziali.
«Attraverso i social rappresento semplicemente me stesso, così come sono: pubblico foto della mia vita privata, divulgo le mie attività e provo a divertirmi, condividendo contenuti di comicità demenziale, brani musicali e tanto altro. Attenzione, però, perché i social sono un’arma a doppio taglio per quanto riguarda la disabilità: se da una parte aiutano a mettersi nei nostri panni e a comprendere la nostra condizione, dall’altro espongono facilmente le persone con disabilità a derisione e prese in giro. Dobbiamo esserne consapevoli, noi che sui social ci mettiamo la faccia ogni giorno».
Ne vale la pena?
Io penso proprio di sì. Certo, per creare vera inclusione ci vuole altro: innanzitutto, bisognerebbe capire che noi abbiamo bisogno di divertimento, amicizia, svago, non solo di assistenza! Anzi, penso che i social possano essere utili innanzitutto per questo: per divertirci, per fare rete, per fare quattro risate e per far capire chi siamo veramente: persone che hanno bisogno di divertirsi, come tutti: perché non possiamo pensare solo a lanciare messaggi positivi e a costruire cultura!
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