Due generazioni diverse di fotografi per riflettere sul valore dell’immagine. Alla Settimana della Creatività c’erano anche loro, Lina Pallotta e Jordan Cozzi. Hanno condotto insieme un Laboratorio di Fotografia per certi versi inusuale rispetto alle precedenti edizioni. Il loro è un tandem generazionale che ha raccolto l’interesse dei partecipanti anche nelle attività in esterna, oltre che in aula.
Lina Pallotta e Jordan Cozzi, l’intergenerazionalità nella fotografia
Per sondare meglio questi giorni carichi di energia creativa sul Lago Maggiore abbiamo raccolto le loro impressioni. A cominciare proprio da Lina Pallotta. Membro storico della Giuria del Concorso Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia, da diversi anni conduce un laboratorio di fotografia con gli over 50 dell’Associazione. Con alle spalle mesi di emergenza sanitaria, ci si sarebbe aspettati una tangibile mutazione nella produzione artistica, soprattutto tra i partecipanti al Concorso, rispetto a qualche anno fa. Invece: «Sinceramente nelle domande e nel tipo di ricerca ho avuto l’impressione che non ci siano stati grandi cambiamenti – racconta Lina Pallotta -. Ad esempio, osservando le foto giunte per il concorso ce ne sono un paio che fanno direttamente riferimento al Covid. La produzione generale però mi è sembrata molto uniforme rispetto a quelle che erano le cose che osservavamo due-tre anni fa e questo, forse, dipende molto dalla specificità del nostro tipo di pubblico, delle persone che vengono da noi per seguire i seminari. Questa consistenza tematica devo dire che l’avevo già notata nel corso degli anni. Ci sono sempre foto di anziani, di bambini, di viaggio, di dettagli. Più o meno è sempre così. Anch’io quest’anno mi aspettavo più foto di interni, di famiglie, ma non c’è stato nulla di tutto questo».
Jordan Cozzi è un giovane fotografo che ha deciso di mettere il tema dell’anzianità al centro dei suoi progetti fotografici, catturandone quante più sfaccettature possibili. Non è un caso che si trovi qui, alla Settimana della Creatività, dopo essere stato ospite nella precedente stagione di Zoom – I Webinar di Spazio50. Il suo è un percorso che parte da un interesse nato in modo inaspettato: «Ho cominciato a dedicarmi al tema dell’anzianità – racconta Jordan Cozzi – grazie ad un percorso di volontariato in una casa di riposo nelle mie zone. Qui, ogni mercoledì, nel periodo del liceo ci ritrovavamo in una tavola rotonda fatta di ragazzi, ragazze, la docente e gli anziani ospiti della Rsa. All’epoca la cosa che mi colpì di più fu la storia di una coppia che si era trasferita in questa casa di riposo. Per ignoranza non sapevo che le coppie anziane andassero a vivere in una RSA e quindi ho voluto approfondire questo aspetto tramite la fotografia. Poi sono scappato a Firenze e lì ho cominciato a lavorare alla ricerca di storie singole, all’inizio nelle Rsa e poi nei cohousing, sempre guardando al tema della intergenerazionalità. È stata la curiosità a far nascere in me questo percorso».
Consigli per un approccio più professionale
Ma cosa succede quando si tenta un approccio più professionale al mondo della fotografia? Che si decida infatti di utilizzare lo strumento digitale o quello analogico, ciò comporta la conoscenza di alcune nozioni di base. In questa Settimana della Creatività, sia Lina Pallotta che Jordan Cozzi hanno affrontato anche questo tema con i loro allievi.
«Il primo suggerimento di cui parlavo anche a lezione – dice Lina Pallotta – è quello di uscire dalla foto del momento e costringersi a fotografare in modo consistente tutti i giorni, nonché a vedere tante immagini dei maestri della fotografia. Perché quest’ultima, aldilà della teoria, è un percorso pratico, quasi artigianale. Quindi, per imparare bisogna scattare, scattare, scattare molto e vedere tante e belle foto, ad esempio quelle dei maestri che in questo momento grazie ad Internet sono accessibili a tutti. Quindici anni fa si dovevano comprare i libri per osservarle, oggi non è necessario. Questo è il primo passo, l’altro suggerimento importante è cercare di capire cosa è veramente importante in una foto per chi scatta. Perché questo significa concentrarsi un po’ di più su cosa interessa veramente. Altro consiglio ancora è quello di scattare quanto è più possibile, almeno per un periodo lungo, con un obbiettivo fisso perché il problema dei principianti è che usano tutti obbiettivi lunghi, come un tele o uno zoom. Questo concede l’illusione di saper fare le foto perché si possono avvicinare, ma non è la maniera giusta per “imparare a vedere veramente bene”. L’altro consiglio è che non è l’obbiettivo che deve portarci vicino al soggetto, ma dobbiamo essere noi il nostro obbiettivo, noi dobbiamo camminare verso quello che ha suscitato il nostro interesse e avvicinarci ad esso».
Anche per Jordan Cozzi ci sono elementi imprescindibili, come quello di essere “l’obbiettivo di se stessi”. Questo perché: «Tramite la tecnica fotografica una persona anziana può raccontare una sua storia, realizzare un’immagine che sia magari la sintesi del suo percorso di vita. Ma un’altra cosa che si potrebbe fare è quella di ispirarsi eventualmente alle altre arti figurative oppure di concentrarsi su un genere che più piace. Oppure provarne di più come, ad esempio il ritratto, la natura, per poi tornare a quello che ci convince di più».
Gli esercizi creativi e cosa vuol dire essere fotografi
Ma questi non sono gli unici consigli dati in questi giorni. Nel Laboratorio di Fotografia vengono suggeriti anche esercizi creativi a tutti coloro che si sono iscritti. «Quest’anno si è fatto anche di più – racconta Lina Pallotta -, perché per la prima volta ho proposto un esercizio di lettura dell’immagine. Questo proprio per dare agli iscritti alcuni elementi che li aiutassero a capire di più come leggerla, ma soprattutto perché è qualcosa che è sempre stata un po’ trascurata, come se non fosse necessario avere degli strumenti più specifici per leggere la singola immagine. Dopo tutto gli stessi allievi avevano chiesto come si fa a capire qual è la foto migliore quando magari se ne scattano dieci».
Anche un accenno all’incursione sempre più massiva degli smartphone nel mondo della fotografia era d’obbligo. Sono strumenti che dopo tutto hanno dato a moltissime persone la possibilità di fare foto di qualità. Ma in che modo ciò ha influito sulla professione del fotografo? «Si può fare un ottimo lavoro con lo smartphone – conferma Lina Pallotta -, perché la foto la fa la testa, non la fa lo strumento. Tuttavia, il fatto che oggi tutti sappiano fare delle foto con tale strumento è un po’ come la scrittura: tutti sappiamo scrivere ma non siamo tutti scrittori. Stiamo diventando quindi “letterati nella visualità”, perché viviamo in una società visiva, ma resta un’illusione pensare che questo significhi essere un fotografo. Il professionista ha tutte una serie di elementi in più che prescindono dallo strumento: l’intento, la capacità di articolare attraverso le immagini un discorso, quella di essere costantemente presente alla produzione di immagini. È come con le parole: saper scrivere in italiano – una cosa che facciamo tutti – non ci fa giornalisti o scrittori. La stessa cosa vale per le immagini. Non si è più fotografi perché si fanno belle foto, ma lo si è nel momento in cui si riesce a mettere insieme un portfolio consistente, che faccia senso. Quindi, fare il fotografo significa scattare, saper scegliere, saper mettere insieme tutta una serie di cose che sono diventate sempre più rilevanti, importanti e centrali proprio perché è diventato più facile fare una foto decente».
Smartphone e macchine fotografiche
Al Laboratorio di Fotografia di questa Settima della Creatività c’è stato anche chi ha preferito portare con sé uno smartphone per fare le foto piuttosto che la macchina fotografica. Una scelta che i due docenti hanno saputo leggere da un’angolazione piuttosto interessante.
«Io personalmente – ci racconta Jordan Cozzi – in realtà mi aspettavo di trovare molte più persone con la macchina fotografica. Invece circa il 20/30% dei partecipanti al Laboratorio ha portato con sé uno smartphone. Sia ben chiaro: avevano scelto loro di portarlo, la macchina fotografica l’avevano a casa. Comunque, questa presenza di smartphone la interpreto anche in modo positivo perché può incentivare il superamento del divario digitale. Inoltre, è una scelta legata alla fruizione delle immagini che queste persone hanno con amici, familiari, nipoti. È una connessione fra generazioni molto densa. E poi c’è un altro aspetto positivo: vogliono imparare, non gli basta la macchina fotografica, vogliono capire come funziona fotografare con lo smartphone. Questo non vuol dire che non usino la macchina ma che il telefonino è molto più comodo per loro».
E sul rapporto che intercorre tra il mezzo e l’immagine anche Lina Pallotta, alla fine, aggiunge la sua impressione al riguardo: «Bisogna precisare una cosa: non sono i professionisti che denigrano l’impiego dello smartphone, ma gli aspiranti che si sentono importanti visto che usano complesse macchine fotografiche. Ma al vero professionista, in realtà, non importa del tipo di macchina fotografica, pur avendo sicuramente delle preferenze. Nel vero mondo del professionismo si vuole vedere cosa si è riusciti a creare visivamente, al di là dello strumento».
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