L’esito del tampone è negativo, significa che il virus è stato eliminato. Ma spesso per chi ha avuto Covid-19 questa non è la fine della storia. Molte persone continuano a manifestare un malessere diffuso anche svariati mesi dopo la negativizzazione.
I possibili sintomi del post-Covid
Stanchezza, affanno, dolori articolari, confusione mentale, depressione o ansia. Una vasta gamma di sintomi che sembrerebbe associata ai danni a lungo termine di Covid-19 su molteplici organi, dai polmoni (i più coinvolti nella fase acuta), al cuore, ai reni, al fegato, all’apparato neurologico.
Oramai gli strascichi dell’infezione sono diventati un aspetto della malattia degno di attenzione quasi quanto le manifestazioni della fase acuta. E oltre ai reparti Covid in molte strutture sanitarie, private o pubbliche, stanno nascendo ambulatori post-Covid che si occupano delle conseguenze successive alla guarigione.
Abbiamo chiesto a Bruno Restelli, Direttore del poliambulatorio e day services del Centro Diagnostico Italiano di Milano, che ha appena avviato un programma di check up post-Covid, di spiegarci perché è importante monitorare la salute dei pazienti che hanno sconfitto il virus.
Dottor Restelli, si sente sempre più spesso parlare di sindrome post-Covid o di long Covid. Perché? Non basta liberarsi dal virus per tornare in salute come prima?
«Purtroppo no, o almeno non sempre. Il Covid-19 ha un forte impatto sull’apparato polmonare in primis, ma anche su quello cardiocircolatorio nella fase acuta della malattia. Sul lungo periodo, poi, sono stati osservati danni anche a fegato, reni e all’apparato neurologico. Alla base dell’infezione c’è un attacco infiammatorio fortissimo all’endotelio, la parete interna dei vasi sanguigni di diversi organi, che determina alterazioni importanti sulla microcircolazione. Queste alterazioni sono all’origine dei problemi trombotici della fase acuta, ma anche di danni persistenti in vari organi, non solo nei polmoni. Per questo molti pazienti, anche a distanza di molti mesi dall’infezione, dicono di non sentirsi come prima».
Cosa si può fare nella fase post-Covid?
«È molto importante monitorare la salute dei pazienti ad ampio spettro. Il nostro centro offre un programma specifico mirato al controllo di una serie di parametri clinici nella fase di recupero dalla malattia. La valutazione deve abbracciare tutti gli apparati, in primis quello polmonare con accertamenti approfonditi, poi quello cardiorespiratorio, con esami specifici della funzionalità delle arterie. Ma il monitoraggio deve coinvolgere anche il sistema epatico e i reni, il sistema neurologico e quello gastrointestinale. Si controlla anche lo stato infiammatorio del paziente e si valuta l’eventuale carenza di vitamina D, B12 o B6. I test da effettuare vengono decisi caso per caso, in base alle caratteristiche del paziente e alla sintomatologia che si è manifestata nella fase acuta. Insomma, si tratta di un percorso diagnostico con un protocollo personalizzato».
Anche chi ha avuto Covid-19 in forma asintomatica può avere conseguenze sulla salute a lungo termine?
«Può capitare di osservare alcuni segni della malattia nei polmoni attraverso una Tac oppure di rilevare anomalie negli indici infiammatori anche in soggetti che hanno avuto forme lievi o del tutto asintomatiche di Covid-19. In alcune persone queste alterazioni possono causare un affaticamento che compromette la qualità di vita».
Il Covid-19 quindi non è solo legato a una malattia respiratoria…
«Al di là dei polmoni, che sono sicuramente gli organi presi di mira dal virus nella fase acuta, l’infezione può avere ripercussioni sugli altri organi, come già detto, ma anche sulla salute della pelle. Per cui sono necessari anche controlli dermatologici. Senza trascurare gli effetti psicologici che un ricovero ospedaliero, la mancanza d’aria o la paura per aver semplicemente contratto il virus, possono avere avuto su pazienti più o meno gravi».
Ma quanto durano gli effetti a lungo termine?
«Ancora non lo sappiamo con certezza. È importante effettuare controlli periodici a distanza di tre e sei mesi. I pazienti della prima ondata, quelli che si sono ammalati nella primavera del 2020, ora sono in completa guarigione, anche se alcune cicatrici restano visibili negli esami diagnostici. Non sappiamo quale sarà l’impatto futuro del Covid-19 sulle patologie croniche come quelle metaboliche, le cardiopatie o il diabete. Lo scopriremo solo tra due o tre anni».
Una volta individuati i problemi che il Covid-19 ha causato, come si interviene?
«Dopo la valutazione dello stato clinico del paziente vengono date indicazioni terapeutiche in base a quanto emerge dai test. Il paziente viene indirizzato a un percorso di follow-up con controlli sia tramite videoconsulti che in presenza. È prevista la presa in carico da parte di due tutori, uno specialista internista e un pneumologo. È importante capire quali sono stati i danni provocati dalla malattia per poter intervenire con modifiche comportamentali e terapeutiche prima che il problema si cronicizzi».
Alla luce di quanto ci ha descritto, i vaccini che prevengono la malattia acquistano un’importanza sempre maggiore. È così?
«Assolutamente sì, i vaccini sono l’unico vero mezzo che abbiamo per uscire da questa situazione. Invito quindi tutti a vaccinarsi quando gli verrà data l’opportunità».
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