Lo sostiene quasi l’80% del campione intervistato ma servono educazione alla democrazia e riforme. L’emergenza demografica frena la partecipazione
“Dove non c’è partecipazione non c’è nemmeno realtà. Dove c’è egoismo non c’è realtà. La partecipazione è tanto più completa quanto più immediato è il contatto del Tu. È la partecipazione alla realtà che fa l’Io reale; ed esso è tanto più reale quanto più completa è la partecipazione”. Le parole di Martin Buber (1878-1965) – filosofo, teologo e pedagogista – raccontano lo stretto legame tra partecipazione e relazione. Ci ricordano che non siamo isole, ma esseri interconnessi. Che siamo destinati a vivere in relazione con gli altri e che la partecipazione, quando è relazione autentica con l’altro, ci definisce come esseri umani.
Oltre ad aspetti come identità e significato, ‘partecipare’ è un verbo che racchiude un universo di desideri, aspettative, speranze. Cosa spinge gli over 50 ad essere parte di qualcosa? Cosa cercano nella partecipazione?
Dietro queste domande c’è un personale fraseggio di attese, bisogni, volontà di cambiare, ricerca di senso di appartenenza. Soprattutto quest’ultima, perché per l’89,4% degli intervistati partecipare attivamente accresce la percezione di inclusione e del proprio valore. È l’azione collettiva, l’impegno in una causa comune ad influenzare – secondo il 62,1% – il senso di appartenenza alla comunità. Lo pensano in particolare gli over 74 (64,1%), le donne (63%), chi abita al Nord-Est (64,6%) e nel Sud e Isole (62,6%).
Dall’indagine emerge che gli over 50 sono convinti sostenitori dell’importanza delle relazioni nelle dinamiche di partecipazione – il 60% circa gli attribuisce un valore centrale – e vedono nell’associazionismo un antidoto alla solitudine. È così per il 78,6%, con una prevalenza nella fascia d’età 65/74 anni (79,5%). Tuttavia, anche se l’associazionismo gode di una considerazione così elevata, coloro che sono membri di almeno un gruppo o un’associazione si attestano al 36,5%. Li spinge ad associarsi soprattutto “l’interesse condiviso” (34,5%), consueta tendenza a unirsi a gruppi con le proprie stesse passioni, idee, progetti. Segue, con il 30,2%, la necessità di “sentirsi utili”: qui si mescolano il desiderio di contribuire al benessere altrui con il vantaggio di sentirsi meglio con sé stessi. Al terzo posto c’è “l’impegno sociale” verso la comunità e la società (29%), segno che gli over 50 sono consapevoli di come questo rafforzi le reti sociali e la fiducia reciproca. Questi ultimi due motivi sono particolarmente forti tra i 50-64enni e chi risiede nel Sud e Isole.
Quali sono allora gli aspetti più apprezzati della partecipazione ad un gruppo o ad un’associazione? In testa alla classifica c’è il “contributo alla comunità” (è così per il 38,2%, una percezione diffusa soprattutto tra gli uomini e gli over 65), seguono le “esperienze condivise” (36,3%), il “senso di appartenenza” (27,9%), il “supporto sociale” (25,4%). Solo per citare i primi quattro. Al di là della maggiore o minore stima riservata ad alcuni aspetti, però, sono due i dati che spiccano: per il 76,1% degli intervistati – con una percezione più marcata nel Sud e Isole – partecipare a gruppi o associazioni migliora la qualità della vita; per l’80% la partecipazione ad attività politiche/sociali è un modo efficace per influenzare la società.
Sin qui le aspettative, i desideri, gli effetti positivi legati al partecipare. Quali, invece, i fattori che ne alimentano la crisi? Per il 65% degli over 50 le attuali dinamiche demografiche sono un ostacolo all’impegno civico. Sono coscienti delle criticità legate al calo demografico – invecchiamento della popolazione, riduzione della forza lavoro, potenziale flessione delle persone coinvolte in attività sociali, culturali e di volontariato -, così come identificano tre fattori in grado di influenzare negativamente la partecipazione sociale: “declino della fiducia nelle istituzioni politiche” (44,5%), “aumento dell’uso dei social” (38,2%), “individualismo” (33,2%). La prima, in particolare, si lega strettamente ad altre due cause: la crescente “complessità dei processi decisionali” (14,7%) e la “frammentazione sociale” (20,9%), entrambe in fondo alla classifica ma sempre percepite come importanti ostacoli. Sono invece le “barriere economiche e sociali” (21,2%) e la “mancanza di competenze” (22,3%) ad attrarre maggiormente la preoccupazione delle persone più anziane.
Per gli over 50 individualismo e social media sono veicoli di disimpegno o frammentazione. Ma anche la politica pesa molto e, con la perdita di fiducia nelle istituzioni, produce disillusione e distacco. Il 59,8% pensa infatti che la politica, i partiti, le istituzioni influenzino il desiderio di partecipazione. E lo fanno in maniera negativa secondo il 69,9% di questi. Per questo, quindi, per il 47,6% è necessario “educare i cittadini alla partecipazione democratica”: è la sfida più urgente con quella di “riformare le istituzioni politiche rendendole più trasparenti, inclusive e rappresentative” (45,3%). Seguono la necessità di “semplificare i processi decisionali per renderli più accessibili ai cittadini” (41,4%), “combattere le discriminazioni” (41%), “promuovere politiche di inclusione sociale e riduzione della povertà” (39,4%), “favorire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali” (35,6%), “dare maggiore riconoscimento al valore della partecipazione” (32,6%). “Integrare maggiormente la popolazione senior” (23,2%) è l’ultima voce, sostenuta soprattutto dagli over 74: un richiamo, quest’ultimo, a politiche mirate e più inclusive che considerino le diverse esigenze demografiche.
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