Una nuova ricerca rivela cambiamenti di vita, tra abbandono del lavoro e difficoltà relazionali per chi convive con patologie reumatologiche. E la mancanza di informazione nella popolazione generale evidenzia la necessità di campagne di sensibilizzazione.
Un’ampia ricerca condotta dall’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare (APMARR), in collaborazione con WeResearch, ha svelato l’impatto significativo delle malattie reumatologiche sulla vita di oltre 5 milioni di italiani; quasi il 10% della popolazione nazionale.
I risultati dello studio
Lo studio, basato su un campione di 1.627 persone (inclusi pazienti, caregiver e popolazione generale), ha evidenziato come queste patologie rappresentino la seconda principale causa di disabilità in Europa, dopo le malattie cardiovascolari.
La diagnosi ha portato a cambiamenti sostanziali per il 70,9% degli intervistati, con un’incidenza superiore all’80% tra coloro che hanno ricevuto la diagnosi prima del 2000. “La diagnosi di una patologia reumatologica – ha dichiarato Antonella Celano, presidente APMARR – ancora troppo spesso è una sentenza che costringe le persone a dover cambiare i loro progetti di vita con costi emotivi e sociali molto alti”.
I problemi sul lavoro e nella vita privata
L’ambito lavorativo è quello maggiormente colpito: il 60,8% degli intervistati ha dovuto abbandonare o ridurre l’attività lavorativa. Anche lo sport (38,9%) e le relazioni affettive (32,8%) sono stati significativamente compromessi. Oltre la metà del campione (56,6%) ha riportato problemi nelle relazioni di coppia, con difficoltà sessuali riscontrate da oltre il 79,4% e in meno del 17,1% dei casi, ciò ha portato alla separazione.
La qualità di vita dopo la diagnosi è peggiorata per il 48,9% del campione, con una percentuale che sale al 53,2% nella fascia d’età 65-75 anni. L’analisi qualitativa ha mostrato che tristezza (49,2%), paura (47,8%), smarrimento (44,9%) e ansia (43%) sono i sentimenti più comuni al momento della diagnosi. Anche l’inizio e i cambiamenti della terapia farmacologica sono fonte di ansia (40,9%) e paura (37,6%), con solo il 9,1% che si sente tranquillo all’inizio delle cure e il 3,4% in caso di cambiamenti terapeutici. Il 41,5% del campione ha modificato il farmaco 3-4 volte, e quasi un quinto (17,9%) dalle 5 alle 6 volte.
Mancanza di informazione
La ricerca ha inoltre evidenziato una carenza di informazioni sulla popolazione generale. L’85,7% ha sentito parlare di queste malattie, ma il 78,1% dichiara di avere informazioni incomplete. Il medico di base (43,5%), i forum online (30%) e i siti istituzionali (22,6%) sono le principali fonti di informazione, mentre le associazioni di pazienti rappresentano una fonte di informazione solo per poco più del 10% della popolazione. Inoltre, il 78,3% degli italiani non ha mai effettuato controlli specifici per queste patologie.
“Dall’analisi dei dati – ha spiegato Matteo Santopietro di WeResearch – emergono diversi aspetti critici. Le persone affette da patologie reumatologiche dichiarano un impatto negativo sulla loro vita, mentre la popolazione generale non ha informazioni complete. Questa mancanza di informazioni si traduce in una bassa incidenza di analisi preventive”.
Anche la comunicazione medico-paziente necessita di miglioramenti. “I numeri sono importanti – ha dichiarato Luis Severino Martin, professore del Collegio dei Reumatologi Italiani (CREI). – Solo uno su 10 si mostra tranquillo all’inizio della terapia, e questo dato si dimezza con ogni cambio di terapia. Dobbiamo imparare a comunicare meglio con i nostri pazienti, trasmettendo più entusiasmo e rassicurazione.”
“L’impatto invalidante delle patologie reumatiche è evidente, non solo per la limitazione fisica, ma anche per la riconfigurazione della propria immagine di sé,” ha aggiunto Guendalina Graffigna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. “La scarsa consapevolezza pubblica tende a stigmatizzare la malattia e a far sentire isolato chi ne soffre.”
La ricerca ha evidenziato la necessità di un duplice intervento: implementare campagne informative per sensibilizzare la popolazione e favorire la diagnosi precoce, e potenziare il supporto psicologico e sociale per chi convive con queste patologie.
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