Un buon rapporto con il proprio dottore è fondamentale quando si inizia un percorso terapeutico. Eppure, qualcuno ha difficoltà a concedere fiducia ai medici e alla Medicina
La discussione sulla libertà sta affollando i media attorno al tema della vaccinazione e del Green Pass. Non voglio entrare in questo dibattito, ma dedicare alcune righe sulla libertà di ogni persona, di qualsiasi età, di fronte alle indicazioni (o richieste) da parte di medici e del sistema sanitario nel suo complesso.
È ben noto che gli atti di cura non sono sempre lineari, spesso difficili da impostare da parte del medico e difficili da sopportare da parte del cittadino. La crisi si può verificare di fronte a queste difficoltà; spesso riguarda la persona anziana fragile sul piano fisico e psicologico, più sensibile alle eventuali conseguenze negative di un atto di cura.
La medicina è un insieme di atti che talvolta sono costruiti senza un preciso fondamento scientifico; il più delle volte, però, si basa su studi controllati condotti con rigore, sia sul piano preclinico che clinico. Quando il sistema medico prescrive una certa procedura diagnostica o una cura si prefigge di interferire con una condizione che potrebbe danneggiare la qualità della vita, e talvolta la vita stessa, di un cittadino. Si tratta di indicazioni rivolte ad una persona che conserva la propria libertà e la propria dignità, indipendentemente dal numero di anni. Ci si potrebbe domandare se il cittadino è obbligato ad eseguire quanto indicato; normalmente ciò avviene quando vi è un legame di fiducia e di stima tra struttura sanitaria (o il singolo medico), l’ammalato e la sua famiglia. Però cosa succede se questi ultimi non concedono fiducia alla “medicina” impersonata da specifiche persone? Fin dove può arrivare lo spazio di libertà? Si può rispondere che la libertà è sacra e che quindi deve essere assolutamente rispettata. Ma poi? Cosa succede al cittadino non fiducioso? Ha certamente il diritto di chiedere una seconda opinione, ma deve compiere delle scelte.
Di seguito sono riassunti alcuni punti fermi sui quali il cittadino può costruire il proprio rapporto paritario con la medicina, in modo che ogni giorno sia un momento per vivere gli “anni possibili” senza rinunciare a cure efficaci:
• Se si tratta di questioni di limitato rilievo clinico, conviene adeguarsi al consiglio, anche se può sembrare inadeguato o insufficiente.
• Chiedere al medico spiegazioni sullo scopo immediato e a lungo termine di un certo atto; se il medico sembra anch’egli incerto, è bene chiedere un secondo parere.
• Se si è convinti di quanto indicato, chiedere tempi e modi per aderire alla prescrizione; evitare un’accettazione “al buio”, senza essere informati in modo preciso e convincente sulle varie tappe di un’indagine diagnostica o di programma terapeutico.
• Chiedere informazioni al medico (o alla struttura di riferimento) sulla possibile comparsa di effetti indesiderati. Infatti, se questi sono attesi, non spaventano e non inducono a chiedere cambiamenti; se, invece, non sono stati adeguatamente preannunciati producono ansia, incertezza e, alla fine, il rischio di sospendere il trattamento indicato.
• Se le prescrizioni sono complesse, pesanti e di lunga durata, la richiesta di chiarimenti deve essere particolarmente accurata; ad esempio, nel caso di terapia contro un tumore è diritto-dovere del cittadino essere informato in modo dettagliato. Inoltre, qualora la condizione di salute suggerisca il passaggio ad una cura palliativa, il paziente deve essere accompagnato con delicatezza ad accettare il radicale cambiamento di prospettiva che assume la nuova modalità di cura.
• Qualora il cittadino non fosse in grado di capire il contenuto e il significato di una cura perché affetto da demenza, è necessario che il parente che normalmente ha il ruolo di caregiver si informi con precisione. Quando fossero state predisposte delle disposizioni anticipate, queste devono essere rigorosamente rispettate. Il caregiver, o l’eventuale amministratore di sostegno, devono mettere in atto nei confronti del medico o della struttura di cura i comportamenti sopraindicati, come fossero loro i pazienti.
Seguendo queste regole il cittadino difende la propria personale autonomia e libertà; allo stesso tempo, però, costruisce un rapporto positivo con gli attori della salute, in modo da attuare serenamente le cure opportune.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulle demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
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