Impossibile nominare una donna, senza sentirsi chiedere: «Com’è? Quanti anni ha?». Se la risposta è positiva, carina e giovane, o ben conservata e giovanile, si riprende a discorrere di lei normalmente. Se il responso è negativo è la catastrofe: «Bella? No, mai stata bella. Anzi, diciamo, decisamente bruttina», e l’interlocutore si ritrae inorridito.
Una donna bruttina o brutta, una donna mai-stata-bella e non-più-giovane è, pare, un insulto del Creato, una da evitare, da deridere.
La mai-stata-bella (e non-più-giovane) può essere anche una brillante avvocato, una competente ministra, una scienziata… non importa. In quanto donna deve comunque corrispondere a determinati canoni, a certe perfette proporzioni, a un minimo decoro estetico. Le donne devono essere belle. Per forza. Crescono con questo incubo le ragazzine, con questa coercizione sociale.
Fino a 100 anni fa, la bellezza era, per le ragazze, un capitale, si trattava di disporre o non disporre di una moneta di scambio forte. Per le belle era più facile sposare uomini facoltosi, per le brutte era arduo perfino sposarsi e si rischiava, allora, il destino più triste: governante in casa di una sorella sposata “bene”, a vivere nell’ombra. Oppure sposarsi tardi, con un uomo scarsamente appetibile, rischiando di non figliare e di essere, quindi, considerata una donna non completa.
Fino a 50 anni fa le donne erano appendici degli uomini che le avevano scelte. Il loro lavoro era farsi scegliere. Dovevano attirare un maschio che le avrebbe mantenute e protette. Si giocava tutto fra i 18 e i 25 anni. Poi il compito diventava riprodurre la specie. Mutate in madri, le donne potevano anche appassire. L’ultimo atto era organizzarsi per far sposare le figlie. Poi si poteva scomparire. Erano anni d’ombra, senza sorprese. Dolci o terribili. In ogni caso mai troppi. Si moriva a sessant’anni. A cinquanta, sommessamente, ci si preparava. Adesso non è più così. Niente è più com’era, per le donne. A 50 anni hai un aspettativa di vita che è lunga una vita intera: 35-40 anni. Al servizio della specie ci stai soltanto se lo decidi. Studi, ti laurei, ti affermi. Eppure, più che mai, la ragazza moderna aspira innanzitutto alla condizione di oggetto del desiderio maschile. Perché? Evidentemente la bellezza non è soltanto un capitale da investire a scopo matrimoniale. L’obbligo-bellezza non è soltanto storico, è anche ontologico. La femmina della specie deve essere ingravidata perché la specie si riproduca, per questo da duemila anni siamo state educate a renderci attraenti. Allora, però, passata l’età fertile si dovrebbe poter mettere il corpo in pace. Invece no: fuori dall’età dell’accoppiamento a scopo di generazione, l’affare va a complicarsi. All’ossessione di “farsi belle” si aggiunge, dai 50 agli 80 anni, l’obbligo di non apparire né mature né – non sia mai – vecchie. È una sfida impossibile, una frustrazione inevitabile: il corpo è sottoposto a usura. Siamo carne e pelle, ossa, muscoli… Possiamo rallentare l’incedere implacabile del tempo, non annullarne gli effetti.
Chi non è nata bella dovrebbe darsi pace. Così come chi, pur bella, abita questo mondo da sei o sette decenni. Invece no: da quando siamo più forti socialmente, usiamo questa forza per sottometterci con un vigore autolesionista al martirio della chirurgia plastica. Nemmeno quando trovare un acquirente per le nostre grazie era questione di vita o di morte eravamo così determinate a ottenerle e mantenerle, queste maledette grazie. La domanda è: perché? Essere scelte e ingaggiate come oggetti di sfizio o accessori del potere è l’unico residuo dell’epoca in cui non esistevi se non eri accoppiata. È come un’eco. Uno strascico. Una nostalgia dell’inferiorità. Vogliamo liberarcene, almeno nel Terzo Tempo?
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