L’indagine Aspettative e sentiment verso le istituzioni dipinge un quadro a tinte fosche. «Uno scenario prevedibile con qualche sorpresa. Gli over 50 si sentono isolati e faticano a decifrare la complessità che li circonda», commenta Gregory Alegi, esperto di storia e politica (LUISS)
È una generale sfiducia il sentimento prevalente che emerge dal sondaggio di Format Research sul rapporto tra gli ultracinquantenni e le istituzioni. Le risposte fotografano una situazione difficile: di disorientamento e scollamento rispetto al sistema istituzionale e al quadro politico da parte di una fetta consistente della popolazione italiana.
«In termini generali non si tratta di dati sorprendenti», commenta il professor Gregory Alegi (nella foto di apertura), esperto di storia e politica, docente di relazioni internazionali alla LUISS Guido Carli di Roma, «sebbene alcuni elementi specifici catturino la nostra attenzione». Per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni, è evidente come la fiducia degli ultracinquantenni diminuisca man mano che si passa da una dimensione più specifica (istituzioni settoriali e locali) a una dimensione più ampia (istituzioni pubbliche nazionali e internazionali). «Un fenomeno legato al concetto di prossimità. Più un ambito amministrativo e decisionale è fisicamente vicino alla persona, più è percepito come semplice e più una persona crede – a torto o a ragione – di poter partecipare facilmente e di poter influire efficacemente sulle decisioni. Al contrario, si tende a diffidare delle dimensioni più ampie, dispersive e complesse», spiega Alegi. In cima alla fiducia del campione statistico ci sono istituzioni che operano nel campo della sicurezza (i Vigili del fuoco e le Forze dell’ordine) o istituzioni simboliche, di indirizzo e garanzia, come il Presidente della Repubblica. La fiducia diminuisce sensibilmente nei confronti delle istituzioni con un potere decisionale più concreto: il governo, la magistratura, il parlamento. La diffidenza maggiore interessa le istituzioni rappresentative: solo due intervistati su dieci si fidano delle Camere e dei partiti.
«La preoccupazione per la sicurezza spiega il primato delle istituzioni chiamate a garantirla. Quanto al Presidente della Repubblica, si tratta di un simbolo forte, che evidentemente svolge bene il ruolo di rappresentante dell’unità nazionale. Ma non stupisce che sia percepito come più affidabile rispetto alle istituzioni più operative, che scelgono – più o meno bene – e per ciò stesso rischiano di indurre sfiducia. Sarebbe a tal proposito interessante osservare l’evoluzione della fiducia nel tempo e magari comparare l’atteggiamento degli ultracinquantenni con quello di altre fasce della popolazione. Stupisce di più la posizione della magistratura, che è un’istituzione assai meno politica del governo. Sul giudizio del campione influiscono probabilmente la percezione di un’inefficienza del sistema giudiziario e di un costo eccessivo (non solo in termini economici) degli atti e dei procedimenti. Inoltre è probabile che alcuni ‘scandali’, che hanno peraltro riguardato istituzioni come le forze dell’ordine, vengono percepiti nel caso della magistratura come fenomeni di sistema piuttosto che come errori individuali». Gli over 50 si sentono alquanto esclusi dal processo decisionale. Percepiscono una barriera nei rapporti con le istituzioni, dovuta alla burocrazia e alla mancanza di trasparenza, diffidano in generale della politica per un difetto di competenza, di capacità e di sincerità da parte di chi fa politica. Alegi accetta i dati con qualche riserva: «La lontananza delle istituzioni percepita dai cittadini mi ispira una riflessione sull’indebolimento dei cosiddetti corpi intermedi. Le associazioni di categoria, i sindacati, gli stessi partiti politici nel ruolo di mediatori sociali hanno perso peso e i cittadini (specie quelli abituati alla mediazione) si sentono più isolati, meno coinvolti nei processi decisionali. Quanto alla sfiducia verso la politica, pure giustificata per certi versi, ho l’impressione che ci sia un fraintendimento di base. Aspettarsi che la politica risolva tutti i problemi e lamentarne la mancata soluzione rivela in realtà un deficit di cultura politica e una concezione anacronistica, vagamente paternalistica dello Stato. Nel mondo globale, quello dell’homo oeconomicus e delle multinazionali, molte problematiche sfuggono al controllo dei singoli Stati e le istituzioni governative non sono più in grado di garantire protezione ai cittadini. La generica sfiducia verso la politica nasconde anche l’incapacità – e in parte l’impossibilità – di vedere quanto complesso sia il quadro, di conciliare la prospettiva individuale con quella sociale e globale. La difficoltà a decifrare la complessità e l’assenza di strumenti che facilitino questa decodificazione determina, a mio modo di vedere, il diffuso pessimismo con cui si guarda al futuro». In apparente controtendenza rispetto al giudizio sulla politica e le istituzioni, gli ultracinquantenni ritengono in larga maggioranza (circa l’80%) che sia importante andare a votare. Un dato di quindici punti superiore a quello (relativo però all’intera popolazione) dell’affluenza alle urne nelle elezioni politiche del 2022. «Il voto è visto come l’unico, e l’ultimo, strumento per propiziare un cambiamento. E tuttavia, dalle risposte del campione, si evince che votare viene più che altro considerato un dovere civico, l’esercizio indispensabile di un diritto ‘sacro’. Sono relativamente pochi quelli che attribuiscono al proprio voto il potere di incidere, per via di un contributo costruttivo o di un segnale di dissenso, sulla realtà» conclude Alegi.
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