A metà dello scorso mese l’Istituto Superiore di Sanità ha diffuso due rapporti. Entrambi contenevano indicazioni per prevenire e controllare la diffusione dell’emergenza Coronavirus nelle Rsa, le Residenze Sanitarie Assistenziali.
L’Anaste, Associazione Nazionale Strutture Terza Età aderente a Confcommercio, li ha divulgati sul proprio sito.
Il primo rapporto contiene indicazioni sull’uso razionale dei dispositivi di prevenzione individuale in queste strutture. Oltre a ripetere le prescrizioni contenute nei decreti del Governo e suggerite all’Oms precisa le precauzioni da usare nel contesto lavorativo (operatori sanitari, addetti alle pulizie e visitatori), in base allo stato di salute del paziente da avvicinare e al tipo di attività da svolgere (pulizie, assistenza, triage, etc).
Il secondo rapporto affronta le modalità di isolamento dei casi sospetti, la formazione del personale per l’adozione delle misure di prevenzione e isolamento, la sensibilizzazione e formazione dei residenti e dei visitatori, nonché l’utilità di utilizzare promemoria visivi (come poster, cartelli, volantini, screen-saver) che insistano sull’igiene delle mani, sul distanziamento sociale e sul monitoraggio dello stato di salute degli ospiti delle strutture.
In conclusione, l’Iss fornisce a tutte le Direzioni delle strutture le indicazioni per programmare, con adeguate stime, l’approvvigionamento dei dispositivi di protezione per evitare il contagio di ospiti e operatori.
Tutte le indicazioni sono ineccepibili, ma impossibili da seguire in un contesto in cui mascherine e guanti sembrano mancare anche a medici e infermieri. Come dimostra anche l’enorme numero di contagiati e deceduti proprio tra loro.
Nel frattempo, da Nord a Sud, si sono verificati focolai di epidemia in molte strutture di quasi tutta la Penisola. Il 25 marzo scorso le Rsa piemontesi hanno chiesto, con una lettera alla Regione Piemonte, un intervento legislativo di coordinamento delle Asl per superare l’emergenza. I motivi del disagio denunciato dalle Residenze Sanitarie Assistenziali sono i seguenti:
- l’incertezza di comprendere chi degli ospiti e del personale in servizio è positivo asintomatico o negativo al Covid-19.
- la carenza e l’impossibilità di reperire i dispositivi di protezione individuale per gestire i servizi e le problematiche di contaminazione nelle strutture;
- la carenza di personale causata dall’emigrazione presso gli ospedali pubblici e dalla sindrome di panico;
- l’impossibilità di isolare gli ospiti risultati positivi al Coronavirus;
- l’impossibilità di effettuare tamponi a tutti gli ospiti che mostrano sintomatologia respiratoria assimilabile al Covid-19.
Da un lato, le prescrizioni; dall’altro, la realtà. È la fase in cui le strutture, impossibilitate a seguire le istruzioni dell’Istituto Superiore di Sanità e senza un coordinamento univoco di Asl e Regioni, sono nell’occhio del ciclone. Una situazione che individua, soprattutto nei loro amministratori, i “responsabili” dei numerosi focolai epidemici nelle case di riposo.
C’è poi un’ultima fase, che avrà senz’altro sviluppi in sedi giudiziarie alla fine dell’epidemia: quella del 2 aprile. In questa data l’Uneba, l’Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute e a quello delle Politiche Sociali. Nella lettera l’Uneba chiede di inserire nella conversione del Decreto n. 18 del 17 marzo un emendamento che esoneri gli amministratori di queste strutture da ogni responsabilità in un contesto di emergenza in cui molti di essi si sono esposti personalmente per assistere gli anziani ricoverati.
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